martedì 25 giugno 2013

Recensione Warm bodies

Eccola, eccola! Tornata, finalmente.
Il corso in correzione bozze è finito quindi, anche se ho da fare i compiti, ho più tempo a disposizione. Approfitto di questo attimo di tranquillità per parlarvi di Warm bodies, libro che ho terminato un mese fa quasi e di cui devo ancora parlare. Cominciamo prima che dimentichi ciò che ho da dire, ci sarà tempo per altri post inutili sulle mie disavventure xD
Il film, comunque, vedetelo solo se siete in astinenza da trash. Altrimenti risparmiatevelo, veramente. Lo dico per voi.

Autore: Isaac Marion
Titolo:  Warm bodies
Prezzo: 14,50 €
Editore: Fazi
Pagine: 269
Il mio voto: 3 piume


Trama

R è uno zombie in piena crisi esistenziale. Cammina per un'America distrutta dalla guerra, segnata dal caos e dalla fame dissennata dei morti viventi. R, però, è ancora capace di desiderare, non gli bastano solo cervelli da mangiare e sangue da bere. Non ha ricordi né identità, non gli batte più il cuore e non sente il sapore dei cibi, la sua capacità di comunicare col mondo è ridotta a poche, stentate sillabe, eppure dentro di lui sopravvive un intero universo di emozioni. Un universo pieno di meraviglia e nostalgia. Un giorno, dopo aver divorato il cervello di un ragazzo, R compie una scelta inaspettata: intreccia una strana ma dolce relazione con la ragazza della sua vittima, Julie. Un evento mai accaduto prima, che sovverte le regole e va contro ogni logica. Vuole respirare, vuole vivere di nuovo, e Julie vuole aiutarlo. Il loro mondo però, grigio e in decomposizione, non cambierà senza prima uno scontro durissimo con... 

La mia recensione


Warm bodies racconta la storia di R, uno zombie di cui non si conosce né l'età né il vero nome, che vive in un aeroporto insieme a una colonia composta da migliaia di altri zombie.
Isaac Marion non ci informa su come mai sulla Terra esistano gli zombie, se sia stata colpa di un'epidemia, un esperimento, una guerra. Sebbene, effettivamente, non fosse un dettaglio utile alla storia a mio parere avrebbe fatto bene a spendere due parole di più sul contesto. 
Avete presente i mondi possibili della letteratura, no? Tutta quella roba che si studia quando ci si avvicina alla semiotica. Be', c'è un senso se qualcuno ha dato un nome ai mondi possibili, al patto finzionale con il lettore, alla sospensione dell'incredulità. 
Isaac Marion, a quanto pare, ha fatto a meno di un paio di cose e il lettore maturo lo avverte.
Solitamente non sono una persona esigente, davvero. Sono una lettrice un po' ca*aca**i, è vero, ma non sto lì a criticare proprio tutto. Puoi anche creare un romanzo sugli zombie che guariscono e io, se riesci a convincermi, non ho nulla da obiettare. E però, cavolo, convincimi!
Il difetto principale  forse addirittura l'unico  –  di questo romanzo consiste, appunto, nel non essere riuscito a convincermi. È vero, Warm bodies è scritto con un linguaggio talmente tanto semplice e diretto che si legge in un paio d'ore soltanto ma è come se il lettore rimanesse all'esterno del romanzo, senza lasciarsi coinvolgere.
C'era sempre, andando avanti nella lettura, una sorta di diffidenza, una mancanza di fiducia che Isaac Marion non è riuscito a farmi abbandonare. Peccato, mi tocca ammettere, perché se approfondita e sviluppata nel modo giusto, l'idea di base non era tanto male.
Molto interessanti, invece, le riflessioni di R sulla vita, anche se forse a volte un po' "stiracchiate" e per questo banali. 

venerdì 14 giugno 2013

Missione classici #2

Dunque, la lettura di Oliver Twist è terminata, la recensione è arrivata e quindi è il caso di rispolverare Missione classici. 
Mi scuso per l’assenza prolungata ma ho davvero un trilione di cose da fare e non ho il tempo materiale per farle tutte. Pensate solo che, dato che dormo una media di 5 ore a notte da circa una settimana, il mio organismo mi ha prontamente punita facendomi andare via quasi del tutto la voce. Cosa che mi fa somigliare tremendamente a un viados sudamericano, sebbene la mia fisicità sia mooolto lontana dal tipico viados, già solo per l’altezza sono automaticamente da annoverare tra i
viados anomali.
E niente, mi toccherà anche recensire Warm Bodies, dato che l’ho terminato e mi sono anche voluta fare del male guardando quel coso insulso che hanno spacciato per film. Cioè, il libro non è "ironico", manco per niente e il film, con quella stupida voce fuori campo e i grugniti tra zombie... Insomma, sembrava fosse una parodia del libro. Certo, non stiamo parlando del capolavoro indiscusso della letteratura contemporanea (anzi!), ma se c'è una cosa (delle poche) che ho apprezzato di tutto il romanzo è stata la "serietà" con la quale il protagonista ha affrontato i sentimenti, i cambiamenti, i sensi di colpa. E poi, nel film, viene tutto vanificato da un rantolo sconnesso che si scambiano gli zombie davanti a tazze putride di caffè rancido? Che amarezza. Ma ogni cosa a suo tempo, non è la sede adatta, questa, per parlare di Warm Bodies. Ho talmente tante cosa da dire (praticamente è come se la "realtà" stesse cercando di convincere una logorroica – me – a stare in silenzio) che vorrei scrivere mille post e invece mi tocca accontentarmi di questo. 
La scriverò la recensione, non temete. Certo, con questi ritmi impiegherò alcuni secoli ma, insomma, portate pazienza.

domenica 2 giugno 2013

Recensione Oliver Twist

Dopo secoli torno a scrivere un post veramente libresco! Scusate, ma questo è un periodo pieno, ma proprio pieno pieno. Ho cominciato a frequentare un corso in correzione bozze (oddio!) e quindi tra il lavoro, lo studio e le lezioni da seguire non riesco a stare dietro a niente altro. Sob.
Ad ogni modo, ho finalmente terminato la lettura di Oliver Twist che mi ha fatta penare non poco. Complice, credo, il fatto che mi sia alzata alle 6 stamattina senza alcun motivo apparente. Odio profondamente la mia insonnia, che viene proprio quando non serve.

Autore: Charles Dickens
Titolo: Oliver Twist
Prezzo: 7 €
Editore: Newton Compton
Pagine: 402
Il mio voto: 4 piume

Trama

In Oliver Twist Dickens dà veste immaginativa alla sua dura infanzia di “orfano” e di operaio nella turbolenta Londra dei primi decenni del XIX secolo e la trascende in una dimensione più universale. Perciò, come dato strutturale profondo, troviamo la semplicità e la potenza della lotta dell’Innocenza contro il Male; e l’ottica infantile che sottopone a radicale critica l’incomprensibile mondo adulto. Oliver però è anche lo strumento per esplorare un mondo storico quanto mai problematico, di cui abbiamo intensissime e quasi visionarie immagini tanto nei primi capitoli, in cui è satiricamente rappresentato il concreto e inumano funzionamento delle “workhouse” (sorta di ospizi e case di lavoro per poveri e disoccupati), quanto nella parte centrale, e conclusiva, dove percorriamo una Londra terribile: la metropoli non del progresso borghese ma del crimine e della degradazione. Oliver Twist – conosciuto a volte attraverso le versioni ridotte per ragazzi – va riscoperto nella integrità di testo letterario, come lo ha riscoperto il cinema nella versione di Polanski, ultimo dei grandi maestri, tra cui Eisenstein e Lean, che ne sono stati conquistati. 

La mia recensione

Letto in netto ritardo rispetto alla media delle persone comuni. Perché sì, questo tipo di classici va letto quando si è ancora giovani e io, invece, non lo sono più. Al liceo la mia inutile insegnante di inglese ci aveva fatto leggere alcuni sprazzi del romanzo per riallacciarsi al discorso del lavoro minorile, molto in voga nel XIX secolo in Inghilterra. Quegli spezzoni, in verità, non mi erano apparsi difficili o pesanti, anzi. Forse, appunto, era l'età giusta per leggere questo libro. Nel frattempo sono passati più di dieci anni e io, Oliver Twist, l'ho acquistato solo un anno e mezzo fa senza avere mai il coraggio, o la voglia, di affrontarlo.
E non so nemmeno io come mai mi sono imbarcata nella lettura circa 20 giorni fa. Me lo aspettavo meno, come dire, articolato. Più fluido, ecco. Non so, probabilmente dipende dall'arzigogolata traduzione italiana di questa edizione ma, dato lo stile, non mi sentirei di dire che si tratta di un romanzo per ragazzi. Non per tutti i ragazzi, ecco. Sarebbe meglio dire che, erroneamente, si pensa che Oliver Twist possa leggerlo chiunque, anche quel giovine ragazzo che legge un paio di libri l'anno. No, ecco, proprio no. Forse io al liceo l'avrei letto in un paio di giorni, ma questa è un'altra storia. Perché un giovine abituato a leggere i romanzi di oggi, dove la parola più difficile che incontra è “calderone”, non resiste fino a pagina dieci.
La storia, comunque, è di una semplicità mostruosa e, forse, Dickens ci avrebbe potuto risparmiare anche un'ottantina di pagine che, onestamente, sono in più. È vero, un tempo la “velocità” narrativa alla quale si era abituati era diversa (ho forse, per caso, inventato il concetto di “velocità narrativa”?!), ma alcune parti sono davvero poco utili ai fini della storia della vita sfortunata di Oliver.
La storia, senza bisogno che la si riassuma, la conoscono anche i muri. Ciò che mi ha stupito, infatti, non è esattamente la trama, ma come questa viene raccontata. 
Non c'è poesia, non c'è romanticismo nelle pagine che narrano di un bambino al quale accadono una serie di disgrazie, una dietro l'altra. L'animo umano viene presentato in tutta la sua brutalità. I cattivi di Dickens, forse un po' sopra le righe ve lo concedo, sono davvero cattivi. Sono persone orribili e non solo per il lavoro che svolgono, ma per i sentimenti che provano. Di contro i buoni sono rappresentati forse un po' troppo buoni. A volte, infatti, le reazioni di Oliver non corrispondono alle azioni che avrebbe avuto un bambino di 12 anni, ma lo fanno apparire più piccolo. Probabilmente, ma potrei dire una cretinata, è una scelta voluta, per far sì che il divario tra la bontà e la cattiveria fosse ancora più evidente. Non esiste nemmeno una vera e propria redenzione perché colei che prova a fare del bene (poveretta, quanta pena ho provato per lei!) viene, infatti, uccisa in malo modo e senza pietà.
Insomma, che dire? La lettura di questo romanzo, se siete in tremendo ritardo come lo ero io, vi consiglio di farla, se non altro per mettere alla prova non solo il vostro dizionario, ma anche il vostro cervello.