martedì 16 dicembre 2014

Recensione Portami a casa

Rieccomi, con un post che non sia random (strano, ma ultimamente parlo a vanvera troppo spesso). Dunque, rieccoci qui riuniti per disquisire di Portami a casa di Jonathan Tropper, edito da Garzanti e dal quale è stato tratto un film. C'è da dire che avevo immaginato tutti molto diversi da così come appaiono in carne e ossa nel trailer ma, cioè, sono i rischi del lettore. 
Terminato da qualche giorno ormai, ve ne parlo solo adesso perché... Non lo so perché. Il romanzo è carino, si legge velocemente e regala qualche sorriso, ma. Sì, c'è un punto dopo il ma. Fa Baricco in Oceano mare, avete ragione (o forse fa Baricco sempre? Non so, ho letto solo Oceano mare), è che è proprio così. È una lettura carina, leggera e simpatica ma. Come se mancasse un quid, ecco. E quel ma seguito da un punto esprime appieno la mia opinione. 
Vi spiego meglio perché.

Titolo: Portami a casa
Autore: Jonathan Tropper
Editore: Garzanti
Pagine: 364
Prezzo: 9,90 € (la cover accanto è quella del formato ebook)
Il mio voto: 4 piume meno

Trama  

Alcune famiglie possono diventare tossiche, se ci si sottopone a prolungata esposizione. E la famiglia Foxman, in particolare, può raggiungere un livello di tossicità letale. Ecco cosa sta pensando il trentenne Judd Foxman mentre, di fronte al suo piatto di salmone e patate, cerca di estraniarsi dalle urla dei nipotini. Il telefono del cognato non smette mai di squillare, la sorella non fa che scoccargli frecciatine acide, in combutta con il fratello minore, mentre la madre, stretta in un vestito troppo provocante, gli rivolge solo sguardi di commiserazione. L'unico desiderio di Judd è scappare lontano e non pensare più a tutti i guai della sua vita. Perché Judd è senza casa, senza moglie, che l'ha appena tradito con il suo capo, e ora anche senza più un padre, morto all'improvviso. Per questo è dovuto tornare a casa e non può fuggire. Le ultime volontà del padre richiedono che venga celebrata la Shiva, il periodo di lutto prescritto dalla religione ebraica: per sette giorni consecutivi tutta la famiglia dovrà riunirsi sotto lo stesso tetto. E sette giorni possono essere un tempo infinito, soprattutto se i componenti della famiglia sono tutti fuori di testa e non riescono a stare per più di ventiquattr'ore insieme senza scannarsi. Ne bastano molte meno perché la casa diventi una polveriera pronta per esplodere a causa di vecchi rancori, passioni mai sopite e segreti inconfessabili.  
La recensione 

Portami a casa, il cui titolo per l'edizione italiana poteva essere scelto in modo migliore, racconta la storia della famiglia Foxman attraverso la voce di Judd che, negli ultimi mesi, sembra aver perso tutto ciò che gli è più caro: la moglie – la quale ha intrapreso una relazione extraconiugale con il capo di Judd –, il padre – che dopo una lunga malattia è finalmente passato a miglior vita – e il lavoro (per evidenti problemi logistici).
Si ritrova così, a trent'anni suonati, non solo a non possedere più nulla ma anche a pagare l'affitto per vivere, da solo, in una casa ridicola e fatiscente.  
In occasione dei funerali del padre, Judd si reca nella casa nella quale è cresciuto e si ritrova a dover rispettare la Shiv'a, così come indicavano le utlime volontà del defunto padre.
Grazie alla Shiv'a, della durata di una settimana, la famiglia Foxman sarà costretta a riunirsi sotto lo stesso tetto e ad affrontare vecchi dissapori, a superare stupidi conflitti adolescenziali e a ricordare i bei tempi andati.
È il primo libro di Tropper che leggo e probabilmente non sarà l'ultimo. Ho molto apprezzato la semplicità con cui l'autore racconta un lutto e una vita fatta di perdite e privazioni (quella di Judd, appunto, protagonista sfigato della storia), trasformando le brutte esperienze in motivo di rinascita. 
Sui generis, ma non surreali e improbabili – come invece mi è capitato di leggoere qua e là su internet – le vicende della famiglia, i rapporti ambigui che legano un componente a un altro.
Non so la gente comune, il lettore medio, a quali famiglie è abituato ma se gli raccontassi la storia della mia di famiglia – che non ha un happy ending come in molte saghe famigliari perché, voglio dire, un romanzo deve anche intrattenere non deprimere all'ennesima potenza – direbbe anche a me che le vicende vissute sono surreali. Peccato che, nel mio caso, non possono essere improbabili.
Questo semplicemente per dire che no, le vicende narrate da Tropper non sono affatto improbabili ma sono, se vogliamo, tipiche delle famiglie numerose. Ammetto che, però, probabilmente la sensazione di improbabilità e assurdità deriva dal linguaggio utilizzato dall'autore e dalla struttura narrativa; è palese già dalle prime pagine che Tropper strizza l'occhio al cinema e, infatti, il film tratto dal libro uscirà a breve in Italia – è uscito negli Stati Uniti a settembre. A me questo aspetto, piuttosto che far apparire le situazioni strane e inverosimili, ha disturbato perché ha reso tutto meno introspettivo di quanto invece avrebbe potuto essere. Ecco il quid di cui si sente la mancanza. Un romanzo leggero, divertente e scorrevole ma che manca della profondità giusta in alcuni punti che, invece, vengono risolti frettolosamente e senza dar spazio a riflessioni più complesse.
Questo perché con l'ausilio fornito dalle immagini e dall'espressività degli attori, molti aspetti  possono non essere resi evidenti necessariamente attraverso i dialoghi o le riflessioni. Peccato, però, che per dare spazio al linguaggio e alla struttura cinematografica, Tropper si sia dimenticato che stava scrivendo un romanzo e non una scenografia e che, quindi, il lettore non avrebbe potuto rifarsi alle espressioni del volto dei personaggi.
Insomma, una lettura interessante per certi aspetti, leggera e coinvolgente ma, detto tra noi, mi aspettavo qualcosa di più che, però, non è mai arrivato. 

2 commenti:

  1. Sai che aspettavo questa recensione :)
    E sai che il libro lo voglio, e lo voglio anche adesso: vedo che non ti è affatto dispiaciuto e sono curioso di scoprire cosa arriva e cosa no. Poi queste commedie (o drammoni?) familiari li adoro, almeno al cinema. In quanto ai libri... provare, provare.

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    1. Infatti non mi è dispiaciuto, è davvero molto carino e, posso dirlo? Lo dico: me lo aspettavo. Non so perché ma sapevo già che mi sarebbe piaciuto, a pelle.
      E sì, i drammoni familiari sono belli, ah se sono belli! Sia al cinema che nelle serie tv che nei libri. Li amo e basta, non so perché.

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