venerdì 29 maggio 2015

Recensione Non siamo più noi stessi

Ho rimandato la scrittura di questo post il più possibile. Non per un motivo in particolare, ma per una sorta di malessere generale che poco ha a che fare con il blog in verità, ma è piuttosto una situazione della vita reale che mi causa malumore e malessere. Malumore che mi fa essere apatica e veramente veramente ma veramente acida.
Il fatto è che il blog, ultimamente, mi sta stretto. Lo vivo come un peso insormontabile, tenerlo aggiornato equivale a una costrizione, non ho più l'entusiasmo che avevo prima. So che dipende da altro, questa mancanza di entusiasmo, complice anche il fatto che leggo libri imposti da settembre e che da dicembre ad adesso di belli ne ho letti davvero molto pochi. Passerà, mi auguro. E se non dovesse passare vorrà dire che mi prenderò una lunga pausa anche se so che le pause non portano quasi mai a niente di buono. Ma, siamo qui, mi sono fatta violenza, ecco la recensione di Non siamo più noi stessi di Matthew Thomas.

Titolo: Non siamo più noi stessi
Autore: Matthew Thomas
Editore: Neri Pozza
Pagine: 640
Prezzo: 19,50 €
Il mio voto: 4 piume

Trama 

Non siamo più noi stessi racconta la storia struggente di Eileen Tumulty, figlia di immigrati irlandesi del Queens, che da sempre sogna un futuro migliore, lontano dalla madre alcolista e dal padre operaio. Eileen sposa Ed Leary, uno scienziato serio e dai modi gentili che indaga gli effetti degli psicofarmaci sul cervello. Non le ci vuole molto per capire che Ed rinuncia volentieri a un lavoro meglio remunerato, a una casa più grande o a delle amicizie più stimolanti, per dedicarsi anima e corpo alla ricerca e all’insegnamento. Così, dopo la nascita del figlio Connell, Eileen decide che tocca a lei lottare per il benessere della famiglia. Risparmiando parte del suo salario da infermiera riesce ad aprire un mutuo per una casa a Bronxville, ma proprio quando finalmente il suo sogno sembra avverarsi, la famiglia viene messa a dura prova da un colpo del destino. Ed è qui che si aprono le pagine più straordinarie del romanzo di Matthew Thomas. Eileen Tumulty – come Olive Kitteridge – è un personaggio che il lettore non dimenticherà mai. Balzato subito ai primi posti della classifica dei bestseller del New York Times, il romanzo d’esordio di Matthew Thomas è un magnifico affresco che ripercorre la vita di una coppia alle prese, dapprima, con il Grande sogno americano e, poi, con una malattia crudele che sembra voler cancellare i loro anni felici.Incensato dalla critica come uno dei libri più belli dell’anno, è una storia epica, coinvolgente e magnificamente scritta che, mettendo insieme una documentazione sterminata e una scrittura impeccabile, ci parla dei sogni, delle promesse mantenute e di quelle accantonate, e della lotta che ognuno deve compiere ogni giorno per dare un significato alla propria vita.

La recensione 

Un romanzo la cui narrazione, malgrado il numero considerevole di pagine, parte come si trattasse di una raccolta di episodi della vita di Eileen, una bambina di origini irlandesi che, nell'America degli anni '50, vive un forte disagio: una famiglia debole e manchevole di affetto. 
Si fa le ossa, Eileen, con un padre più preoccupato di ciò che la gente pensa di lui e del suo "personaggio", amato e stimato da tutti e soprannominato Big Mike dalla comunità di irlandesi trapiantati negli Stati Uniti, e con una madre anaffettiva e, purtroppo, alcolizzata. 
Si fa le ossa, Eileen, combattendo con il forte desiderio di avere lei, un giorno, una famiglia normale composta da un marito che nutra per lei un amore onesto e sincero e  da un figlio, che lei amerebbe senza remore. Si fa le ossa, appunto, e affronta la vita di petto. 
Ormai una ragazza, incontra Ed – un docente universitario di origini irlandesi – e si innamora del suo modo di fare, del suo stare bene insieme a lui. Da quel momento in poi, fino alla fine, il romanzo di Matthew Thomas smette di somigliare a un racconto e assume le sembianze di un vero romanzo americano la cui protagonista non è, come possa sembrare, una famiglia ma la vita. Uno spaccato reale della vita di due persone, così diverse tra loro ma che, comunque, si impegnano a stare insieme e a far funzionare le cose. 
Coerentemente con quanto subito da piccola, Eileen si trasforma e, da ragazza irlandese di provincia, diventa una donna insoddisfatta appartenente alla middle-class americana: ossessionata dal sogno americano, dalla grande casa situata in un quartiere perbene, con una punta di razzismo misto a snobismo tipico delle donne di Wisteria Lane. Questa perenne insoddisfazione, questo correre dietro a qualcosa di "migliore" senza accontentarsi mai, mi ha indispettita e, alcune volte, profondamente infastidita. Un personaggio che, ammetto, non ho gradito in particolar modo anzi, in alcuni punti della narrazione l'ho quasi sofferto. 
Ed, di contro, mantiene un certo garbo e un aplomb da marito perfetto che, quando questo atteggiamento comincia a venir meno, si sospetta subito ci sia qualcosa che non va. Come, effettivamente, è. Un malessere che, se Ed vuole fingere di non scorgere, è invece palese sia a Connell, il loro figlio adolescente, che al lettore. Anche se non a Eileen. 
Il libro, però, a questo punto prende una direzione diversa e con esso lo fanno anche i personaggi. La protagonista non è più la vita di una famiglia, ma la malattia progressiva di Ed e l'effetto devastante che ha su Eileen e Connell. Questa è la parte, insieme all'inizio, che mi ha fatto rivalutare tutto il romanzo. Parole commoventi, scene che mi hanno riportato alla memoria qualcosa che ho vissuto quando ero più piccola e che credevo di aver dimenticato. 
Ho trovato diverse parti eccezionalmente toccanti e, delle volte, alcuni passaggi erano così dolorosi (come, ad esempio, la festa di Natale in casa di Eileen) che il mio cuore non ha retto e ho pianto. Credo che la parte iniziale, più o meno 150 pagine, e la parte finale (da poco più della metà in poi) siano ben raccontate, a dispetto di una parte centrale che invece è un po' povera, macchinosa e prolissa. Interessante e ben riuscito l'evolversi dei personaggi e la loro maturazione, in particolar modo di Eileen che, infatti, nell'ultima parte del romanzo si trasforma e riesce a scacciar via la sgradevolezza e l'antipatia che l'ha avvolta per tutta la parte centrale del romanzo. 
I dieci anni e le numerose correzioni di Thomas temo che abbiano creato qualche problema perché, ogni tanto durante la lettura si ha la sensazione che cambi il PoV che, in verità, non dovrebbe esserci considerando che la storia è narrata in terza persona. Nonostante tutto, comunque, è un libro che mi ha sorpresa e che, probabilmente, non dimenticherò facilmente.

lunedì 25 maggio 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 25/31 maggio


Dopo una settimana di pausa, che non so voi come avete preso, rieccomi qui tra voi per parlarvi delle meravigliose uscite di questa settimana.
Sarò rapida e indolore, forse un po' più cattiva del solito ma, capitemi, c'ho del malumore in me che campeggia tra i polmoni e il cuore e mi rende veramente irascibile. In più ho il pensiero fisso del trasloco e ogni volta che guardo la libreria mi viene da piangere. Il pensiero di spostare tutti i libri e caricarli in valigia per portarli in soffitta, abbandonandoli in scatoloni mi uccide. Ma mi uccide soprattutto il fatto che poi dovrò rimetterli in un'altra libreria e niente, c'ho già il panico. Credo che scriverò fuori dagli scatoloni cosa c'è dentro, tipo "Einaudi e E/O", per non morire di esaurimento nervoso dopo, quando dovrò risistemare la libreria.
Ma, bando alle ciance e ai malumori, vi illustro le uscite della settimana.

Mi sono piegata alla nuova moda di fare le copertine dei libri semplicemente sovrapponendo il titolo e l'autore su una foto probabilmente scattata per altri scopi (amatoriali, per locandine di film di serie c, per pubblicità Dietorelle) senza assolutamente dire la mia. E quindi, pieghiamoci pure a questa cazzata, anche se manco gli Urania da edicola nel 1980 erano senza elaborazione grafica. Ma non fa niente, diciamo pure che ci piace l'idea di prendere una foto qualunque e farla diventare una copertina. Però, che cavolo, possiamo prendere almeno uno che non si mangi le unghie fino a morire e che non abbia i peli lunghi sulle dita? Magari costava meno l'anello di congiunzione tra l'uomo e la scimmia piuttosto che un fotomodello, però porca miseria... Lei, poi, incommentabile. Con i capelli e il trucco delle migliori coatte anni '90 di Ponte Mammolo. Non si vede il collo, per fortuna, ma sono sicura che indossa la collana di plastica che, quando ero piccola io, si trovata sia nel Cioè che nelle patatine, ossia questa, che io odio dal profondo del cuore. La odiavo già quando andava di moda, figuriamoci adesso. Comunque, la cosa importante è che questa è l'ennesima fatica di Jennifer Armentrout, autrice della quale io comprerò prima o poi tutti i libri, compresi quelli scritti sotto pseudonimo. Ah, non sapete chi è e cosa ha scritto l'amica Jennifer? Presto detto, ecco qua la mia recensione di Half Blood, così ve fate un'idea. Vi dico che ci ho messo tipo 6 mesi per finirlo, coinvolgente ed entusiasmante come il bando di concorso per l'Inps.
Dicevamo, il ragazzo con la barba a chiazze qui in copertina è Ren, un tipo imprevedibile e arrogante. La coatta, invece, è Ivy che è orfana e ha ereditato la missione dei genitori. E poi non c'ho capito niente della quarta di copertina, leggetevi voi la scheda e poi fatemi un riassunto.

Veramente non c'ho parole. Non c'ho davvero parole, non riesco proprio a trovare le parole utili nemmeno a esprimere le mie perplessità. Qui siamo proprio oltre, oltre anche al prendere foto a caso destinate ad altri scopi e piazzarle in copertina. Qui siamo al punto da prendere lo scarto del servizio fotografico! 
Me li immagino i signori di Leggereditore mentre parlano con l'agenzia:
Leggereditore: -No, guardi, noi per una foto non possiamo spendere più di 5 euro. 
Agenzia: - Ma, signori, con 5 euro non viene niente eh. Minimo 10 per un uomo di spalle, senza messa a fuoco e da lontano.
L: - 10? Ma siamo matti?! Con 10 euro ci abbiamo fatto TUTTE le copertine di Lara Adrian, che mica pizza e fichi! Il nostro giardiniere nonché grafico è riuscito pure a far sembrare uccelli dei pipistrelli, o viceversa. Non ricordo. E poi, dico, mica abbiamo bisogno delle vostre foto! Mando mia moglie a fotografare il macellaio, l'abbiamo già fatto per la copertina de Il bacio oscuro.
A: - Sentite, per questa cifra posso solo passarvi gli scarti. Foto con i modelli sfocati, con gli occhi chiusi, inquadrati male. – mostra la foto del viso di un uomo, senza collo, con gli occhi chiusi.
L: - E lei li chiama scarti? Guardi qua che bella copertina che c'esce fuori. Piazziamo la testa di lui su una macchia nera, che sembrerà un braccio, e poi boh, vabbè, il collo ormai è sopravvalutato. Nessuno lo usa più nelle copertine. E per 5 euro quanti me ne passa?! 10 c'escono?
Ecco, io sono convinta che sia andata così perché, seriamente, non si spiega altrimenti. Pure la trama devono averla comprata al kg alla fiera del cliché e delle idiozie. Pare che il tale senza collo, racconta la scheda, sia un boss della mafia russa avvolto da una nube di sensualità e pericolo e che abbia conquistato il cuore  – e anche strappato le mutande probabilmente – di Natalie Porter, studentessa universitaria modello. E niente, spero che il libro non sia scritto coi piedi così come la quarta di copertina. Ricordatemi di candidarmi come scrittrice di quarte, perché da Leggereditore ne hanno davvero bisogno. 

mercoledì 20 maggio 2015

Il Salone Internazionale del libro 2015 è responsabile dell'insorgenza delle vene varicose

Avrei dovuto scrivere questo post ieri, ma ero ancora emozionata dal fatto di poter stare seduta per più di una decina di minuti senza venire cacciata, beccarmi un'insolazione o sentirmi dire che quel posto è riservato all'area professionale.
Ebbene sì, al Salone del libro di Torino, se sei un comune mortale non puoi sederti. Mai. A parte quando partecipi a degli incontri che, però, non durano mai tanto e partoriscono delle file chilometriche che oh, ma io mica lo sapevo che tutta questa gente legge – o finge di leggere – in Italia.
Lo dico subito, io non ho partecipato a nessun incontro. La faccio breve e anche piuttosto semplice: a me, di sentì Carofiglio, non me ne può fregare di meno. Italiani ne leggo pochi e quelli che leggo – o che voglio leggere – li ho già sentiti in abbondanza in altri lidi (Dara, Zardi, Morici, Cenciarelli, Carlotto) più raccolti e molto meno affollati per cui, come dire, gli incontri al Salone ma anche no.
Ci avevo provato, testimoni La Leggivendola e Letture Sconclusionate, a prendere parte a un incontro che, tra le altre cose, sembrava anche un sacco interessante. Per poi, purtroppo, rivelarsi una roba che in poche parole pubblicizzava un prodotto utile alle case editrici. Insomma, io c'ho provato. Però, come dire, almeno mi sono seduta. Quindi, se non si va a sentire alcun incontro, cosa cavolo si fa al Salone? Si vaga. Senza meta o con la meta non ha importanza perché, dopo mezza giornata in piedi con il livello dei liquidi in corpo pericolosamente vicino allo zero – il tutto per non fare la fila al bagno e venire aggrediti dal cane randagio, sotto forma di donna delle pulizie, che si trovava all'ingresso del bagno – anche se si ha una meta si dimentica facilmente.
E quindi ho vagato, vagato e ancora vagato, senza quasi mai sedermi – questo comporterà l'insorgenza precoce delle vene varicose, ve lo dico io – e ho comprato, comprato, comprato. 
Persino cose che non volevo comprare, ho parlato anche con editori con i quali non avrei mai pensato di parlare e ho consumato focacce di polistirolo che mai avrei immaginato di poter ingurgitare. Il Salone del libro è così, ti risucchia e ti trasporta in una dimensione parallela, dove donne con i tacchi a spillo leggono, gente vestita da Guerre Stellari cammina indisturbata per i corridoi, lo stand della Massoneria campeggia tra quelli degli editori e nessuno si stupisce.
Ma non è mica tutto strano, al Salone. I blogger che ho rivisto e che ho conosciuto, ad esempio, non lo sono poi così tanto. Ho avuto il piacere di incontrare e parlare per più di un paio di minuti con Peek a book – che ha chiaramente fatto un patto con il diavolo per il quale dimostra sempre 27 anni, perché sono certa che ha DA SEMPRE 27 anni –, ho rivisto la mia amata La Leggivendola – che in verità è appena uscita da un manga e non lo sa –, ho incrociato di sfuggita Maria di Scratchbook e Last Century Girl. E poi, cosa più importante di tutte, ho finalmente incontrato il blogger di cui sono segretamente innamorata da tipo sempre – ok, non è più un segreto, ma è il mio blogger preferito, cosa posso farci? – e cioè Holden & Company.
Ed è stato strano, perché adesso che posso dare un tono di voce a ciò che dice e posso immaginarmi l'espressione facciale sarà uno spasso leggere i suoi post del venerdì, più di quanto lo era prima. Non so lui quanto sconvolto sia rimasto dalla mia nanica persona ma, considerando che mi ha omaggiata di un bel libro de merda (nello specifico Una meravigliosa bugia di Jamie McGuire), sono certa che non lo è stato poi così tanto. Quindi, ecco, è quasi amore dichiarato xD
Dicevamo, ho comprato. Ho comprato troppa roba, davvero troppa. E dire che mi ero fatta la lista che non avrei dovuto ovviamente allungare, ma vabbè. So come sono fatta, so che non resisto, so che non leggerò mai tutto ciò che ho qui in casa. Ormai, però, il danno è fatto e quindi andiamo con ordine.
Ho acquistato Lascia stare il la maggiore che lo ha già usato Beethoven di Alessandro Sesto e Tiroide di Marco Parlato editi da Gorilla Sapiens. Alla presentazione di Lascia stare il la maggiore che lo ha già usato Beethoven ho anche partecipato in occasione dell'incontro del Salone Off, presso la libreria Trebisonda. Io gli autori Gorilla li conosco già, quindi so che non sono poi tanto normali, e mi diverto veramente molto insieme a loro. Consiglio caldamente.

mercoledì 13 maggio 2015

Recensione Moby Dick e altri racconti brevi

Almeno una decina di giorni che rimando questo momento. Non perché io abbia paura di recensire questo libro – oddio, un poco sì –, ma perché per parlare di Moby Dick e altri racconti brevi è necessario avere più di qualche minuto a disposizione. Cioè, non che oggi ne abbia tantissimi di minuti, dato che domani parto per andare a Torino – stelle filanti, nacchere, maracas, pignatte, Maracaibo mare forza 9! Scusatemi per l'esultanza.
Ma, siccome che sono una blogger seria io, ecco una recensione prima di partire per il Salone (gioia! Commozione! Gelato al caffè!).

Titolo: Moby Dick e altri racconti brevi
Autore: Alessandro Sesto
Editore: Gorilla Sapiens
Pagine: 166
Prezzo: 12,90 €
Il mio voto: 4 piume

Trama

Può la letteratura influenzare la routine quotidiana? Cos’hanno in comune le vite di un impiegato e di un poeta maledetto? Perché non bisogna mai dire Adios, Scheherazade? Qual è il vero significato della manzoniana espressione vile meccanico? Come mai Leopardi rimpiangeva la vita prima di Facebook, pur vivendo prima di Facebook? Sono solo alcuni dei quesiti a cui cercherà di rispondere l’eroe di questi racconti: un irriducibile amante dei Classici che proverà a “vivere secondo Letteratura”, cacciandosi suo malgrado in situazioni surreali ed esilaranti. Una guida dissacrante e arbitraria alle opere dei grandi della letteratura.

La recensione

Ho ricevuto questo libro in regalo e, inizialmente, ero parecchio perplessa. Non leggo racconti anzi, direi che è una forma letteraria per la quale nutro un discreto fastidio alternato a odio – alle volte, non sempre. Aggiungiamoci pure che, quando mi è stato consegnato, avevo letto in tutto più o meno tre libri di autori italiani in tutta la vita. Le due cose, come potete immaginare, non mi entusiasmavano granché: autore italiano di racconti. Brevi, per giunta! 
Nel frattempo, però, è passato un anno e tante cose sono cambiate. Un anno in cui Alessandro Sesto e il suo Moby Dick e altri racconti brevi ha occupato lo scaffale della libreria accanto al pc, ad altezza occhio. Impossibile non gettarvi uno sguardo anche involontario. Un anno in cui, sebbene non mi sia avvicinata ai racconti (nemmeno brevi!), mi sono almeno avvicinata ad alcuni autori italiani, rimanendone piacevolmente sorpresa. 
E poi, finalmente, è arrivato il suo momento in un periodo in cui avevo bisogno di una lettura leggera ma arguta e intelligente. E mi sembrava che fosse proprio il caso di Alessandro Sesto, almeno da ciò che avevo letto e sentito dire di lui. 
Ho iniziato questo libro alla fermata dell'autobus – mi piace molto leggere sui mezzi pubblici – e mi sento di sconsigliarvi caldamente di leggere questo libro in pubblico. L'ho provato sulla mia pelle, quindi so esattamente di cosa sto parlando. A pagina 15, quando ero già salita sul 60 che mi avrebbe portato dovunque stessi cercando di andare – probabilmente in libreria – ho rischiato di sputare la gomma da masticare in faccia al tipo che mi sedeva di fronte, colta da una risata che non sono riuscita a trattenere. Perché è questo che Sesto fa: con uno stile in cui intelligente ironia e sapiente preparazione si bilanciano perfettamente, Alessandro riesce a coinvolgere il lettore facendogli dimenticare di essere sul 60, ad esempio, in presenza di altre cinquanta persone almeno.
Attraverso un narratore simpatico e soprattutto bizzarro, Moby Dick e altri racconti brevi illustra al lettore – che sia più o meno preparato in merito – una visione divertente e mai banale dei classici della letteratura, alle volte infarcendo il racconto con aneddoti della vita privata del narratore stesso, con risultati spesso esilaranti – ricordiamo, appunto, il rischio di sputare in faccia al tizio che ha avuto la sfortuna di viaggiare di fronte a me, quel giorno.
Ciò che emerge, e anche in maniera piuttosto evidente, è l'amore e la passione che l'autore nutre per la letteratura della quale parla, per Anna Karerina, per La fiera della vanità ma anche per libri più recente che, comunque, hanno fatto la storia della letteratura (è il caso di Blade Runner o 1984).
È forse proprio questa passione che permette ad Alessandro di scherzare in modo intelligente su alcune situazioni che sì accadono nei classici ma che, difficilmente, potrebbero accadere nella vita reale, soprattutto ai giorni nostri (regalare un cavallo di legno pieno di greci, ad esempio, oppure schiaffeggiare qualcuno con un pesce).
Una raccolta di racconti che, però, non è una vera raccolta di racconti ma, piuttosto, una raccolta di riflessioni ironiche sulla letteratura e sui personaggi (finti o reali) di questa accompagnate da aneddoti autobiografici (finti o reali?) del narratore (che io ho identificato nella persona di Sesto, ma potrebbe anche non esserlo). 
Libro che vi consiglio caldamente di leggere, ma lontano dai posti pubblici. Sul vostro divano, in solitudine, sarebbe meglio. Sconsigliato, inoltre, bere o mangiare durante la lettura. La possibilità di ridere e rimanere soffocati dal panino al prosciutto che si sta consumando o quella che la Coca Cola vi esca fuori dal naso è molto alta.

Ps: e niente, volevo dire che la parte del capitolo dedicato alle 50 Sfumature è stupendo.

lunedì 11 maggio 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 11/17 maggio


Ma salve! Non potete nemmeno immaginare la gioia che provo in questo momento. Finalmente è lunedì e io sono tornata al mio letto, alla mia stanza, al mio angoletto con il computer e a questa rubrica. Mi sarebbe piaciuto parlarvi di Moby Dick e altri racconti brevi di Alessandro Sesto ma non ho ancora trovato il tempo necessario e, soprattutto, il momento adatto. 
Veniamo a noi e alle italiche uscite in libreria, ché oggi c'ho un sacco di cose da fà e non solo non sono ancora entrata in possesso dell'incantesimo per allungare le giornate, ma non sono nemmeno riuscita a trovare la pietra filosofale. Ergo non c'è tempo da perdere! 

Un'incantevole tentazione è il primo romanzo di Natasha Boyd (che mi auguro non sia imparentata con quel Boyd), tipa che non ho mai sentito nominare e il cui nome spero di dimenticare a breve. Il titolo è un inedito, non somiglia per niente a Una meravigliosa bugia, Un disastro è per sempre e tutta quella roba là di cui parla anche Holden & Company nel suo ultimo post , nel quale esprime molto bene ciò che penso degli italici che si fanno abbindolare da cose così idiote.
Anche la copertina è inedita, così inedita che senza guardare la casa editrice avrei detto che fosse un Garzanti. E invece è Giunti. No, dico, giusto perché diversificare i prodotti è importante. Pensate se sul mercato ci fossero le confezioni dei biscotti Bauli uguali a quelle del Mulino Bianco. Tutti pronti a gridare allo scandalo (pubblicitari in primis). Per i libri, che la maggior parte della popolazione (editoria inclusa) non si incula nessuno, né come meri prodotti finiti, né come prodotto letterari, copiare è qualcosa che viene vista bene. Anzi, se non lo fai sei un cretino. Stop polemica.
Mi piace la texture con le nuvole, già utilizzata (oltre che per la copertina dell'ultima versione della Bibbia aggiornata) anche per tutti gli altri libri Garzanti (o Giunti?) che presentano due idioti, o anche solo uno/a, in copertina. I due idioti qui presenti sono scontornati così male che nemmeno io quando ritaglio a mano il cartoncino. In particolare richiamerei la vostra attenzione sui capelli della ragazza (qui potete vedere la foto ingrandita). Interessante, anche, che le manchi completamente il collo. Ma so' dettagli, è la trama quella che conta. E quindi, vediamola. Keri, che lavora in un bar, un giorno incontra l'uomo più bello che lei abbia mai visto in questi luuuuuunghissimi anni che ha passato sulla Terra (22 anni. Considerando che fino ai 13 difficilmente capisci la differenza tra un albero e un ragazzo, considerando anche che i maschi adolescenti tra principi di baffi, brufoli e puzza di sudore appestante sono dei cessi fino ai 17/18 anni, non è che Keri abbia passato così tanti anni "senzienti" sulla Terra, ma so' punti di vista). Ma chi è questo tipo? Un attore famosissimo, idolo dei rotocalchi  (ma il pubblico a cui è destinato questo libro, sa cosa è un rotocalco? Ho i miei dubbi). E che succede? Storia d'amore. Che sicuro finisce bene. Ecco qua, vi ho fatto risparmiare il tempo che avreste impiegato per leggervi la scheda.

La copertina di questo libro dimostra che nemmeno chi lavora nel settore ha idea di quello che sta facendo. O meglio, la Newton Compton lo sa perfettamente: spillare soldi alle deficienti che si leggono sempre lo stesso libro con titoli diversi e non se ne accorgono nemmeno. Per questo, in verità, ha tutta la mia stima. Spillare soldi legalmente sfruttando l'idiozia della gente non è una cosa che sono in grado di fare tutti. 
Prendi una diciassettenne dal mento sfuggente, mettigli vicino un ragazzino di diciannove anni al massimo e levagli la maglia. E poi fai una foto che va bene sia per i test sugli amori estivi di Cioè, sia lper le copertine dei libri tutti uguali.
Non capisco lei che problemi presenti alla schiena, ha una strana incurvatura lì dove ci sta la scritta romanzo. La siepe fiorata, invece, l'abbiamo presa direttamente dal set fotografico dei libri della Sanchez. Il riciclo è una pratica importante.
Ma vediamo perché questa cover non c'ha niente a che fare con la trama (originalissima) di questo romanzo (ahahaha romanzo! Scusate, m'è venuta così la battuta, non sono riuscita a trattenermi). Non posso fare a meno di te è la storia del milionario Archer Bancroft (Archer? Seriamente?!) che ottiene sempre quello che vuole e che desidera ardentemente Ivy Emerson, sorella del suo migliore amico e in quanto tale intoccabile. A una certa, senza nessun motivo apparente se non la completa idiozia, Archer e i suoi amici scommettono un milione di dollari su chi rimarrà scapolo più a lungo e, indovinate? Archer è convinto di vincere. Certo, perché il diciassettenne della foto milionario (??) che ragiona sul rimanere scapolo a vita è proprio credibile. Vabbè, ma la scheda ci dice già come va a finire: un bacio con Ivy diventa una notte di passione, si rendono conto di amarsi come non mai e lui perde la scommessa. Oh, queste tipe che baciano il cretino di turno e decidono di amarlo alla follia sono sempre fortunate. Non solo, ovviamente, sono sempre ricambiate – io, evidentemente, ho dei problemi con il karma dato che mi accade quasi sempre il contrario – ma soprattutto il bacio è sempre sensazionale. Mai che abbiano avuto una brutta esperienza con il ragazzo-lumaca di turno, ad esempio, quello che pensa che il tuo mento faccia parte del labbro inferiore. 

lunedì 4 maggio 2015

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo – 4/10 maggio



Amici! Sono tornata ieri sera dal weekend lungo ed ero (e lo sono tutt'ora) stanca morta. Per la prima volta nella vita ho provato a fare il gelato, nel senso di metterlo sul cono, e posso dire che non è un lavoro adatto a chi ha le braccia forti come fuscelli. Il gelato, credetemi, è duro come la pietra e metterlo sul cono senza quello si spacchi non è affatto semplice. Poi, vabbè, tralasciamo il fatto che a me la maggior parte delle volte restasse sulla paletta. Appurato, quindi, che non sarò mai una brava gelataia, rieccomi di ritorno dalla "non" vacanza, pronta a parlarvi delle italiche uscite in libreria.
Poca roba, pochissima, e mi si stringe il cuore a non potervi dedicare il numero (e la qualità soprattutto) di uscite che meritate.
Però, incredibile, qualcuno ha imparato a fare le copertine – più o meno – e così succede che io ho poco materiale. Sic.

Il discorso è che ci sono quelle copertine che alle case editrici vengono bene – anche se sono proprio quelle dove nessuno mette le mani, dato che riportano semplicemente delle foto –, e copertine che invece non vengono bene proprio per niente.
E questa qui... Questa qui non rientra nemmeno in quelle che non vengono bene manco per niente, questa dovrebbe autorizzare all'omicidio del grafico che se ne è occupato.
A parte che vedo tre persone e solo cinque gambe... Certo, non si sono scordati di fare intravedere il piede tra le mani incrociate dei due dementi, ma erano così concentrati in quello che si sono dimenticati che gli esseri umani, generalmente, sono bipedi.
Dicevo, a parte il dettaglio della gamba in meno, non capisco dove dovrebbe essere messa questa panca. Perché, a una prima occhiata, quel grigio mi sembrava una pozzanghera. Spinta dalla curiosità ho ingrandito l'immagine (qui potete vederla leggermente più grande anche voi) e, non solo mi sono accorta che il pavimento non si capisce di cosa sia fatto, ma ho notato che c'è qualcosa di sbagliato nella coppia che scoppia. Lei non ha un braccio e ha una ciocca di capelli tagliata a caso dal parrucchiere, e lui ha il braccio, sì, ma ha il gomito più dritto e piatto che io abbia mai visto! Allora ho letto la trama, vuoi che Molly McAdams – cognome in grassetto – avesse scritto un horror con Il Fabbricante di Bambole come protagonista/serial killer.
E invece no. Ti lascio ma restiamo amici, dal titolo non solo originalissimo ma che fa anche letteralmente cagare, racconta la storia di Harper fidanzata con il ragazzo perfetto ma che, appena arriva all'università, si ritroverà a mignotteggiare allegramente. Così, tempo due feste e un paio di drink, conosce il fratello della sua nuova compagna di stanza e tataratara taratararatarata (scusate, ma il commento sonoro non poteva mancare) si trova a frequentare entrambi. Non so come possa diventare il libro preferito di qualcuno, addirittura meglio di Il mio distrastro sei tu (minchia che termine di paragone forbito!). E però, ci dice la scheda, è successo veramente. Comunque me piacciono troppo 'sti commenti anonimi che mette Newton Compton, sono quasi più belli delle trame. Ve? Non fanno salire il livello di misantropia anche a voi?

Non so perché, ma io ho visto questa copertina e ho pensato subito a un film d'amore tedesco. Di quelli che fanno su Canale 5 d'estate e che raccontano storie improbabili (donne biondissime e scialbe che, dalla Germania, sognano di trasferirsi in un casale toscano e girare in bici per la città, con un mazzo di lavanda nel cestino ogni volta che tornano dal mercato. In questi film, per la cronaca, in Toscana non esiste l'inverno), non so se avete presente.
Sarà anche il fatto che lei sembri morta, o comunque che si sia sottoposta a diversi interventi di chirurgia plastica, ma non riesco a distogliere lo sguardo dalla copertina. Il messaggio che il mio cervello recepisce probabilmente cozza con il mio sistema di credenze e convinzioni. Pensate al disagio causato dalla dissonanza cognitiva...
Comunque, Per te – in grassetto – qualunque cosa è la storia di questa ragazza in pigiama e la sua amica. Brooke a Natalie, amiche da sempre e per sempre non lo saranno più, probabilmente, quando Brooke scoprirà che la santa Natalie non lo è manco per il piffero dato che, ubriaca o drogata (la scheda dice solo che non ricorda, ma a me piace mettere un po' di pepe nelle trame), ha fatto fiki fiki con il suo uomo. Certo, è vero che Natalie non si ricorda niente, quindi perché prendersi sto pensiero? Magari manco le è piaciuto, oppure la "folle notte" si è conclusa con lei che gli vomitava sui piedi... Per scoprirlo tocca che vi procuriate il volume, perché io so già come va a finì.