venerdì 30 dicembre 2016

2016, addio


30 dicembre 2016. È ora di bilanci.

Questo è stato un anno difficile e, per certi versi, pesante e orribile.
È stato un anno di poche letture, alcune particolarmente belle e toccanti, altre brutte o poco significative. È stato l'anno dei cambiamenti per eccellenza, delle conferme e delle perdite.
Alla fine del 2017, guarderò al 2016 solo come a un ricordo neanche troppo piacevole.
Lo so, la gente normale e i blogger che parlano di libri veramente – e non come me, che ormai ne parlo poco – sono già pronti con la lista dei libri più belli letti durante l'anno, sbracciandosi per dare consigli o sconsigli letterari. Io, invece, ho intenzione di tirare un po' le somme, ma in maniera differente.

Comincio con il raccontarvi un po' di cose, che chi mi segue ha capito e intuito – perché siete tutti un sacco intelligenti – ma di cui non ha conferme.
A cavallo tra il 2015 e il 2016 sono successe, nella mia vita privata, delle cose che mi hanno portata poi a maturare delle scelte importanti.
Avevo instaurato un rapporto di collaborazione con una delle mie – fino ad allora – case editrici preferite che, però, è volto al termine decisamente non nel migliore dei modi: sebbene all'inizio apprezzassi molto i libri che mi venivano proposti, con il tempo la qualità degli stessi è andata scemando, raggiungendo livelli che, alle volte, reputavo davvero imbarazzanti.
Inoltre, al sollevamento di alcuni dubbi sui titoli e sulla piega che il catalogo della casa editrice stava prendendo, non è stato possibile instaurare un dialogo. Mi sono accorta, quindi, che la nostra collaborazione non poteva continuare e che ciò che io, e altre persone di mia conoscenza, non trovavamo di nostro gradimento era proprio ciò che la casa editrice, invece, considerava letteratura di alto livello.
A causa di questa collaborazione, mi sono trovata a leggere libri di cui francamente me ne sarei volentieri infischiata e ho cominciato ad accusare un blocco del lettore abbastanza forte che, per fortuna, ha visto la sua fine grazie alla lettura di Girl runner di Carrie Snyder e a Guida rapida agli addii di Anne Tyler.
Terminata la collaborazione ho, grazie al cielo!, avuto il piacere di imbattermi in alcuni libri di cui ho apprezzato la lettura e ho avuto anche il tempo – e ritrovato la voglia – di fare alcune riletture (è il caso di Cime tempestose di Emily Brontë e Ragione e sentimento di Jane Austen) che mi hanno fatta ritornare sulla retta via.
Nel frattempo, comunque, il 2016 continuava con le sue brutte sorprese, riservandomi momenti WTF? davvero degni di nota.

giovedì 22 dicembre 2016

For Whom The Jingle Bell Tolls – il Natale nei romance


Dopo Il Book Bloggers Blabbering, parte della ciurma torna per parlarvi del Natale con una nuova iniziativa. Vi presento For whom the jingle bell tolls.
Per una a cui non piace il Natale, ne parlo anche troppo spesso. Il 14 dicembre, sul blog Impression chosen from another time, vi ho parlato del Natale di Poirot e di Agatha Christie, esprimendo tutta la mia approvazione verso le parole di Poirot. Oggi, invece, ho deciso di parlarvi del Natale nei romance. 
Già me la vedo la vostra faccia a questa notizia: tranquilli, non mi sono impazzita, sto bene e sono completamente in me – e anche sobria, stranamente. 

Come dicevo già altrove, a costo di meritarmi occhiatacce furiose e espressioni di puro disgusto, il Natale non mi piace. Mi piaceva molto quando ero piccola, ma poi cosa è successo? È successa la vita, sono successe alcune cose, la famiglia s'è sgretolata e adesso, quando penso agli ultimi Natali vissuti bene, ci penso anche con un po' di rabbia. 
Non festeggio davvero da almeno cinque o sei anni e, devo ammettere, non mi manca per niente.
Il periodo natalizio, comunque, offre grandissime soddisfazioni anche per chi non ha piacere a festeggiarlo. Come? Semplice!
Per chi ama il Natale vi sono le lucine colorate, il rito dell'albero, il presepe, il panettone, le ghiotte mangiate, le allegre canzoncine, la neve, i regali e i folletti, Babbo Natale che scende giù dai balconi delle case della gente – mi ha sempre messo un po' d'ansia questo pupazzo, al buio mi sembra sempre una persona che sta cercando di arrampicarsi a casa di qualcuno oppure un amante che cerca di fuggire per non essere scoperto dal marito della donna amata. 
Per chi non ama il Natale, invece, si è sempre pensato che non ci sia nulla di buono in questo periodo dell'anno. Non v'è pensiero più sbagliato.
Vi assicuro: per ognuno di noi c'è qualcosa là fuori. Per me, infatti, ci sono i romance ambientati a Natale. Potete solo immaginare l'effetto che questa accoppiata micidiale ha sulla mia persona: non solo mi sanguinano gli occhi alla vista delle copertine – e questo, voi che mi leggete, lo sapete già –, ma esperisco anche strani stati confusionali quando mi accingo a leggerne le trame.

martedì 6 dicembre 2016

5 is megl che one #4 – ovvero 5 storie d'amore che considero più belle



Ok, fuori gli altarini: questo post doveva riguardare altro. Ebbene sì, lo ammetto senza problemi. Non avevo intenzione di scrivere di storie d'amore. Però, qualcuno ha cercato la mia opinione sulle storie d'amore che considero più belle e quindi, qualora dovessi essere un mio lettore: lo hai cercato, ti ho accontentato. Non dovessi essere un mio lettore, ma un pazzo (o pazza eh, sia chiaro), che cerca cose a caso per motivi a caso... Niente, non incapperai mai in questo post e mi dispiace.
Ovviamente non ho scelto questa cinquina solo per merito di chi la ha cercata su Google, ma anche perché mi sembrava un argomento interessante da affrontare. 
Nonostante il mio sdolcinato romanticismo, e chi mi conosce davvero sa che non dico così per dire, sono una persona realista, cinica e terribilmente sarcastica. Non so bene come queste cose possano andare di pari passo ma è così.
Possiedo una strana considerazione dell'amore. L'amore per me è rappresentato dalla violenza dei sentimenti e capirete meglio ciò che intendo dire più avanti. Oggi si parla delle 5 storie d'amore che io, con la mia strana concezione dell'amore, reputo più belle ever (ci saranno SPOILER, siete avvisati).

1. One day.
Il motivo per il quale io parli di One day non appena se ne presenta l'occasione consiste nel fatto che lo reputo davvero un gran bel libro (e un gran bel film). La storia d'amore di Emma è Dexter è ciò che io ho sempre desirato; le bambine comuni sognavano il principe di Cenerentola, un uomo pronto a salvare la sua donna dalla povertà e dalla miseria per elevarla a uno status sociale – e di vita – migliore. Al contrario, mai ho pensato che un uomo potesse salvarmi da qualcosa: gli uomini sono, semplicemente, esseri umani. E non salvano niente e nessuno, anzi. 
Dexter ed Emma mi piacciono per questo: nessuno dei due salva davvero l'altro. Emma è una persona meravigliosa che sì, avrebbe meritato un altro tipo di uomo al suo fianco: un uomo più presente, meno concentrato su sé stesso, meno superficiale anche. 

Ciò che conta in una storia d'amore, però, non è chi sia la persona della quale ci siamo innamorati ma ciò che il sentimento che nutriamo per questa persona fa di noi. Emma, infelice e imprigionata in una vita mediocre, si sente migliore insieme a Dexter. E non perché lui la salvi effettivamente da qualcosa, anzi. Dexter è anche la principale fonte di malessere di Emma: un amore che sembra non essere ricambiato, una dedizione verso la sofferenza altrui che fa quasi spavento. Eppure, la violenza e la profondità dei sentimenti di Emma verso Dexter la porteranno alla felicità, seppur breve. Gli anni di delusione, tristezza e malessere che Dexter causa a sé stesso e a tutti coloro che gli stanno intorno, Emma inclusa, sono in un certo senso necessari affinché il loro sentimento cresca e diventi la splendida storia d'amore della quale sono protagonisti. Una storia che nasce una notte, all'università, e che si protrae per venti lunghissimi anni. La storia d'amore di One day mi piace perché è reale, perché non è farcita di finto perbenismo, perché Emma e Dexter si fanno del male – consciamente e inconsciamente – proprio come le persone reali. E, nonostante il dolore inflitto e auto-inflitto, la potenza dei loro sentimenti è sempre presente e, soprattutto, duratura. Il motivo, credo, sta proprio nel non aver vissuto una storia d'amore tutta rose e fiori. 


2. Fine di una storia (The end of the affair).
Fine di una storia è un film, ma anche e soprattutto un libro di Graham Greene. Ho avuto il piacere di vedere il film senza sapere che si trattasse di un libro e, dopo così tanti anni, non ho ancora avuto il coraggio di leggerlo. L'ho comprato, ma non sono riuscita ad aprirlo. 
La storia di Maurice e Sarah è ancora così vivida dentro di me che non so se riuscirò mai a leggere il libro senza pensare a Ralph Fiennes nei panni di Maurice. Forse no. 
Maurice è uno scrittore che, nella Londra del 1946, incontra casualmente i coniugi Sarah e Henry Miles. Sarah non è felice insieme a Henry e, per questo, si innamora perdutamente di Ralph, un uomo molto diverso da suo marito e che, in certo senso, la accompagna verso la scoperta della violenza dei sentimenti di cui io sono una così accanita sostenitrice. La loro storia, bellissima e molto profonda, però, volge a una fine inaspettata. Inaspettata per Maurice e anche per Henry, che per molto tempo non conosceranno le ragioni che hanno portato Sarah a troncare la loro relazione. Sì, perché Henry, marito devoto e forse anche molto innamorato, è a conoscenza della relazione extraconiugale della moglie. 
Una storia d'amore così forte e intensa che merita di essere vissuta, anche se questo vuol dire compromettere la propria esistenza e le radicate convinzioni religiose. Impossibile, credetemi, rimanere indifferenti alla forza d'animo di Sarah, impossibile non ammirare la sua incantevole dedizione, il suo carattere formidabile, il suo coraggio, la sua fermezza. Penso a Sarah come alla persona che mi piacerebbe essere, penso alla sua storia d'amore con Maurice come qualcosa da voler vivere, un giorno. La grandezza di Sarah si evince dalla sua scelta: l'importanza della vita dell'uomo che ama vale più di un qualsiasi atto di egoismo. Perché la felicità di Sarah, donna e persona a dir poco fantastica, è costituita dal tenere in vita la persona che ha amato più di ogni altra cosa al mondo. 

venerdì 2 dicembre 2016

Book Bloggers Blabbering || Intervista a Ophelinha di Impressions chosen from another time


Da un'idea di Clacca del blog A Clacca piace leggere, da una riunione ai confini della realtà nel gruppo segretissimo fondato su Facebook sempre da Clacca, da un'insieme di idee e domande di tutte, tratto da un libro mai scritto e da un'opera teatrale mai recitata, cucito a mano con finiture in oro, durante le riprese del quale nessun animale è stato maltrattato, vi presento il Book Bloggers Blabbering!

Undici settimane (praticamente siamo il vostro incubo), undici blogger, undici interviste, undici personalità sui generis. Pronti per questa avventura? (Lo so, lo conoscevate già, ma sognavo una presentazione come questa da almeno dieci anni)
Oggi è il mio turno – finalmente! – e ho deciso di porre le mie strampalate domande a Ophelinha di Impressions chosen from another time e l'ho scelta un po' perché le voglio un sacco bene, un po' perché scrive cose belle, un po' perché legge libri belli e un po' perché si chiama Ophelinha. E credo basti, come presentazione, no? Andiamo a incominciare!

Manuela mi piace pensarla così, in compagnia dei libri che mi hanno
accompagnata durante l'adolescenza e che per me hanno significato molto.
Anzi, moltissimo.

Ophelinha, benvenuta in casa mia! Ti offrirei un caffè se non fosse che siamo ubicate in due punti un po’ troppo distanti tra loro. Iniziamo subito con le domande serie, così poi posso lasciarmi andare con le domande idiote.

Com'è iniziata la tua avventura da lettrice?

Mia madre mi ha insegnato a leggere quand'ero all'asilo, probabilmente per mettere a tacere il mio continuo bisogno di storie. Il primo libro che ho letto – e che mi ha spaventato – è stato Il mago di Oz. Di lì il salto ai libri di Frances Burnett Hogson e Louisa May Alcott è stato breve, insieme all'ebbrezza dell'indipendenza: potevo essere finalmente la mia spacciatrice personale di storie, senza dover chiedere all'adulto di turno di smettere di fare qualsiasi cosa stesse facendo e leggere con me.


Per chi non lo sapesse, mentre io sono una Brontëana,
Ophelinha è una vera Janeite.

Com'è nata l'idea di aprire un blog e condividere le tue letture con un pubblico?

Il mio blog nasce in un brumoso pomeriggio del lontano novembre 2011. 
Avevo un numero imprecisato di quaderni pieni di appunti, poesie, racconti, e ho pensato – anche per smettere di perderli – di iniziare a ricopiarli in questa sorta di finestrella virtuale che mi era creata su blogger. Vorrei poter dire che la ragione per cui ho iniziato a scrivere sul blog è qualcosa di eroico, nobile ed elevato, ma non è così: era un pomeriggio di novembre, mi ero ri-trasferita da circa un annetto (dopo aver vissuto a Roma, Londra, di nuovo Roma, di nuovo Londra, di nuovo Roma e una prima volta a Bruxelles), c'era un sacco di nebbia e faceva freddissimo... 
Nel primo post ho copiato semplicemente una poesia che avevo scritto a Londra nel 2008, "Un altro finale", perché era quello che mi auguravo: di trovare il mio lieto fine, un posto in cui stare bene, un contesto socio-professionale (e climatico) che mi si confacesse di più. Il titolo del blog è tratto da una canzone di Brian Eno, By this river, colonna sonora de La stanza del figlio di Nanni Moretti.

mercoledì 30 novembre 2016

Questione di incipit #15


Ok, cerchiamo di riprendere in mano le fila di tutta la programmazione del blog ché qua sennò va tutto allo scatafascio (e sto solo lavorando part time, se facessi un lavoro vero come andrebbe? Peggio, ve lo dico io).
Dunque, considerando che sto leggendo due libri in spagnolo – attualmente – e uno in italiano (sempre la mia amata Anne), vi posto oggi l'incipit del libro che inizierò successivamente a Anne perché, cioè, sarebbe bello mettere l'incipit di un libro in spagnolo ma me sa che lo capisco solo io e altri 3 cani che mi leggono. Quindi, ecco, non è il caso.
Sono in ritardo nella lettura di zia Anne Tyler perché, dato che vado al lavoro a piedi, la sera sono così stanca che svengo alle 22 circa, praticamente subito dopo cena. Sono pessima, lo so, ma il mio non esattamente atletico fisico deve ancora abituarsi ai dieci chilometri giornalieri.
Dopo anni che non lavoravo più la mattina, sto lentamente abituandomi a svegliarmi, colazionare, docciarmi ed essere fuori casa in 45 minuti. Immagino che mi abituerò presto anche a dosare i livelli di stanchezza e, non appena finita questa settimana, riuscirò anche a non morire sul divano con le gambe stese non appena metto piede in casa.
Il clima ottimistico ci serve perché c'ho un sacco di idee in testa e devo, DEVO, metterle in pratica – oltre al comodino pieno dei libri di cui vi ho parlato qui.
Quindi, dopo un'ardua scelta, oggi vi mostro l'incipit de Lo schiavista di Paul Beatty, pubblicato da Fazi e vincitore del Man Booker Prize 2016.

Nutro grandi, grandissime aspettative. Forse non dovrei, forse dovrei applicare il metodo San Tommaso perché, in fondo, quando qualcosa è un successone a me, alla fine, non piace. Harry Potter a parte, ovviamente.
Però non riesco a essere scettica in questo caso, non ci riesco proprio. Forse è merito dell'originalità della trama, forse della copertina, forse perché spesso i libri che vincono il Man Booker Prize o il Pulitzer finiscono per piacermi sempre... Non lo so. Fatto sta che, se qualcuno di voi qui lo ha già letto, me lo dicesse ché così sappiamo se è bello bello bello davvero oppure no.
È la storia di un uomo che, cresciuto da un padre single, durante l'infanzia si presta a diversi studi psicologici sulla razza. Il padre gli ha sempre fatto credere che i risultati di questi studi sarebbero finiti in un memoir che avrebbe risolto i loro problemi economici. Ma quando il padre viene a mancare, il protagonista si accorge che non esiste alcun memoir. Come se non bastasse, Dickens – la cittadina dove ha sempre vissuto – viene completamente cancellata dalle cartine geografiche. Comincia così la strampalata avventura di un uomo la cui folle idea è quella di ripristinare la schiavitù in America. Che dire? Che qui vi lascio l'incipit, nella traduzione di Silvia Castoldi (che ha già tradotto un bel po' di libri Fazi, tra cui quel gioiello di Olive Kitteridge).

Prologo 

So che detto da un nero è difficile da credere, ma non ho mai rubato niente. Non ho mai evaso le tasse, non ho mai barato a carte. Non sono mai entrato al cinema a scrocco, non ho mai mancato di ridare indietro il resto in eccesso a un cassiere di supermercato, incurante delle regole del mercantilismo e delle prospettive di salario minimo. Non ho mai svaligiato una casa, né rapinato un negozio di alcolici. Non mi sono mai seduto in un posto riservato agli anziani su un autobus o su un vagone della metropolitana strapieni, per poi tirare fuori il mio pene gigantesco e masturbarmi fino all’orgasmo con un’espressione depravata e un po’ avvilita sul volto. Eppure eccomi qui, nelle cupe sale della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, con l’auto, quasi per ironia della sorte, parcheggiata in divieto di sosta su Constitution Avenue, le mani ammanettate dietro la schiena, il diritto di restare in silenzio che mi ha detto addio da un bel pezzo; seduto su una sedia dall’imbottitura spessa che, proprio come questo paese, non è affatto comoda come sembra. 
Sono stato convocato tramite una busta dall’aria ufficiale col timbro «IMPORTANTE!» in grossi caratteri rossi, come l’avviso di una vincita alla lotteria, e da quando sono arrivato in questa città non ho mai smesso di stare sulle spine. 
«Gentile signore», diceva la lettera. 

lunedì 28 novembre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 28 novembre – 4 dicembre



E siamo tutti di nuovo qui, di ritorno dalla mia pausa di una settimana che mi è stata più o meno utile. Certo, è stata la settimana più breve della mia vita e ho dovuto anche lavorare sabato – pure che non avrei dovuto – e manco solo fino all'1, come speravo, ma fino alle 17,30. Il mio weekend di riposo, quindi, è durato un solo giorno. E dire che io tra sabato e domenica avrei voluto fare un sacco di cose, tra cui scrivere la prima puntata di una nuova rubrica ma... Niente. Vediamo se stasera, di ritorno dalla scuola e dopo aver fatto la spesa mi restano ancora le forze per scrivere.
È quasi dicembre, ormai, e si vede dal numero delle uscite in libreria: poche, perché le case editrici faranno il botto intorno al 15/20 dicembre, così da assicurarsi le montagnette di libri de merda all'ingresso di ogni libreria. Per questa settimana, quindi, abbiamo solo due uscite. Mi dispiace moltissimo, ma l'editoria è un mondo brutto e cattivo, non prendetevela con me.
Comunque, sono felice di comunicarvi che il blocco del lettore è andato via del tutto e che ho ripreso a leggere. Certo, se non fossi stanca morta leggerei più di un paio di pagine prima di crollare, ma confido molto nelle prossime settimane. Credo. Basta però parlare di me e della mia inutile vita da espatriata, parliamo dell'italica editoria e delle uscite meritevoli di questa settimana!


Voi lo sapete, qui il lunedì non si parla solo di romance. Certo, è più probabile che una copertina oscena appartenga a un libro osceno, ma come nel mondo normale esistono le eccezioni che confermano la regola... Anche in editoria funziona allo stesso modo. Ecco perché abbiamo il nonno di Hugh Grant e un travestito nei panni di Meryl Streep che si sono prestati per la copertina di Florence. Copertina che, a prima vista, sembrerebbe appena uscita dai Gialli Mondadori del 1990. Esatto, sì, quelli che uscivano in edicola e che erano a dir poco terrificanti in quanto a grafica. Ma erano pur sempre gli anni '90, gli anni delle spalline, delle giacche da donna blu elettrico, dei bananoni ai capelli e delle frangette cotonate.
Eppure mi dispiace che si sia scelto di far posare il nonno di Hugh Grant e il signor travestito per questa foto, perché il libro non meritava di certo questo trattamento. Poi, ovvio, qualcosa da ridire ce l'ho pure su questa raccapricciante fascetta giallo men at work, che violenta terribilmente la mia retina (oltre a non essere neanche lo stesso giallo utilizzato per il titolo). Inutile soffermarsi a chiedersi il perché di un copia-incolla così poraccio per un libro che costa la bellezza di 18,50 euro... Delle volte Piemme fa di queste cose inspiegabili, inspiegabili soprattutto per chi è invece dotato di raziocinio. Lo sfondo in bianco e nero è semplicemente mostruoso se associato ai due ritagliati male da uno speciale tratto da Donna Moderna. La scheda ci dice che questa è la storia di Florence, la soprano più stonata del mondo, che si esibisce in concerto a New York, nel 1944. E, guardate, non fosse per la copertina da incubo, io questo libro lo avrei probabilmente comprato. Peccato che non sia proprio tutta colpa di Piemme, dato che i due falsi attori qui accanto sono stati presi in prestito (MALE) dalla copertina originale che fa ribrezzo quasi quanto quella italiana e che potete ammirare qui. Oh, che ve devo dì, si vede che Maryl Streep e Hugh Grant, quelli veri, dopo aver girato il film non c'avevano voglia di prestarsi a uno shooting fotografico.

Che c'avrà da ride 'sta tizia in copricostume io non me lo so spiegare. Una che cammina e se sganascia, da sola, sicuro tanto bene non sta. Magari ride della povertà grafica del poster di Benji e Fede (che io devo ancora capì che fanno nella vita pe' campà), o magari ride del fatto che ha il piede destro numero 48 e l'altro solo un misero 41, va' a sapè. 
Non lo troverei divertente, fossi in lei, e certamente non lo metterei in mostra con una ciavatta a infradito. Ma io so' io e la gente che se sganascia camminando non è me, me pare piuttosto evidente.
Io guardate, veramente, non so in che modo esprimere la mia preoccupazione circa la deriva che il mondo dell'editoria – e della grafica editoriale – stia prendendo. 
A parte la mia ignoranza sulla vita di questi Benji e Fede (e pure su 'sta Sharon, ma uno con un nome normale lo mettiamo per favore? Sharon, Benji, ma che è? Me pare un cartone animato a me), ma perché sembrano appena usciti dai Bee Hive? Perché nel 2016 sono vestiti come Mirko e Satomi nel 1985? Che cosa mi sono persa? Una si assenta una settimana dal mondo dell'internet e delle uscite editoriali e si ritrova libri di questo tipo. Ma poi chi l'ha scritto sto libro? Perché da qui pare che l'abbia scritto solo Sharon, ma la scheda non è d'accordo. Vabbè, fossero stati in tre a scriverlo, dovrebbe avere una trama almeno accettabile, dici, no? No. Nadia ha 17 anni e per le vacanze di fine scuola va a casa del cugino Marco al mare. E dici, sticazzi? No, perché così, di punto in bianco, due star famose (che so' 'sti Benji e Fede), vanno a vivere con lei. E uno diventa un amico, mentre l'altro invece c'ha gli occhi azzurri e quindi lei si innamora. Ma non cederà come fanno tutte, nossignore. Eh? Cioè, fateme capì: perché in tutte le vacanze passate, cacchio ne so, a Margherita di Savoia, nella casa dove stavo io non è mai venuto a bussare alla porta con la valigia, che so io, Gianni Morandi? O anche, se vogliamo renderla internazionale, Robin Williams? No, al massimo suonava la madre della signora con cui eravamo amici, per offrirci un po' di sugo di seppioline o dei taralli fatti in casa. Che va bene eh, però, via... Vuoi mette il sugo di seppia con Benji e Fede?



Per questo lunedì è tutto, vi auguro una settimana piena di pasta al sugo di seppia e taralli al peperoncino fatti in casa. Mi raccomando: Baby I love you I wonder thing undone, Baby I need you, vorrei vederti ma tu...

lunedì 14 novembre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 14/20 novembre


E ciao gente, buon lunedì di merda a voi tutti!
Oggi, sebbene sia lunedì, sono contenta. Eh, lo so, c'avete ragione: Nereia contenta potrebbe voler dire Nereia meno cattiva, cinica e acida. No, gente, non preoccupatevi: Nereia, di fronte allo scempio, è sempre cinica e cattiva, anche quando è contenta.
Sono contenta perché ho finalmente uno scopo: andare a uno stage. Certo, non è il lavoro della vita e, tra l'altro, praticamente lo faccio gratis, ma stavo quasi per considerare l'omicidio/suicidio, quindi mi sta bene anche vedere altri essere umani e utilizzare finalmente il mio spagnosardo – sì, parlo spagnolo come fossi sarda – anche con altra gente, oltre che a quel poveraccio del mio coinquilino che non fa che sorbirsi i miei discorsi con tempi verbali completamente casuali.
Inoltre, sono contenta anche perché la mia vita continua a somigliare a un cartone animato e sabato sera qualcuno, per strada, mi ha guardato il deretano e poi mi detto "pagafanta" (che sarebbe una di quelle ragazze che si fa offrire da bere e poi ti lascia in 13, da solo, con 50 euro de meno). Ora, io stavo da sola e il mio terribile mojito da 7 euro me l'ero pure pagato, ma sono sottigliezze che il tale – ubriaco alle già 23 – non poteva cogliere.
Comunque, sono contenta che l'ubriacone pensasse che con il mio deretano posso farmi offrire da bere; toccherà che pensi seriamente ad avviare un business. Se volete, fateme un fischio e vediamo di unirci, noi pagafanta, per fare un tour de baretti, che so' io. Così alziamo due lire e via, verso nuove mete. Detto ciò, passiamo a quello che possiamo trovare in libreria. E sbrigamose pure che c'ho da fà, daje.

Ma da quand'è che è legale prendere un'immagine da Second Life (o la prima versione di The sims per pc), metterci uno sfondo di un arancione terrificante e farla passare per un lavoro di grafica che, addirittura, merita una copertina di un libro? No, ditemelo, perché io non pensavo che uno potesse fà na foto mentre sta a giocà a The Sims e poi usare l'immagine a scopi commerciali. Cioè, chiaramente la simmina stava andando ad affacciarsi alla finestra – ogni tanto i sims lo fanno, soprattutto nel 2 che ci sono le stagioni e se piove loro si affacciano e normalmente bestemmiano in simlandese – e il grafico, a sua insaputa, le ha fatto una foto. Ora, io non lo trovo affatto giusto. Abbiamo avvertito la Electronic Arts? Chiamateli, per favore, sennò lo faccio io da qui.
Ma poi lei completamente finta e quadrata (proprio come in The Sims 1, vi invito ad aprire questa immagine) e lo sfondo, preso da una cartolina di zia Lilla che è andata a Parigi e photoshoppato a membro di cane? Il cielo arancione "men at work" poi è un pugno in un occhio che pure l'Anas insieme alla Società Autostrade, sicuro, c'hanno qualcosa da dire in merito. Ma poi che messaggio vogliamo lanciare alla gente? Una, su un ponte, con la scritta "sei pronta a sacrificarti per amore"? Stiamo incitando la gente pixelata a uccidersi per caso? Uno già c'ha i complessi che pare appena uscito da un videogioco dei primi anni 2000, deve pure suicidarsi per amore? La scheda dice che la nostra amica pixelata si domanda come era la vita di Vincent prima di chiudersi a giocà a The Sims h24 e creare lei. Eh, amica, sicuro era meglio, perlomeno parlava con gli esseri umani e non coi Sims. Poi, sia chiaro, io sono una vera fan del gioco, cioè ce l'ho ovviamente installato sul pc e ce passo le ore vere, però non mi fidanzo con Maurizio Alberghini (solo i veri nerd potranno capire a chi mi riferisco, lo siento per tutti gli altri). Ovviamente, non dimentico di menzionare la mano sinistra che ospita l'indice di ET in mezzo a dita normali. E vabbè, il tocco alieno ce sta sempre bene.

giovedì 10 novembre 2016

5 is megl che one #3 – ovvero 5 libri che voglio leggere asap


Eccomi, eccomi. Con un giorno di ritardo, lo so, ma c'è una ragione. La ragione è che mi sono preparata per il mio primo colloquio qui in Spagna e, quindi, vi lascio immaginare il mio stato d'animo tra martedì e ieri. In un'immagine? Se avessi potuto, avrei rosicchiato pure le unghie dei passanti, dato che le mie le avevo ridotte all'osso. Ebbene, il colloquio è andato – ormai è cosa passata – e quindi possiamo occuparci allegramente della terza puntata di 5 is megl che one, rubrica che forse piace più a me che a chi la legge. Ma anche chi se ne importa: a me piace e ya está. Mi piace scriverla, mi piace pensarla, mi piace l'idea, mi piace tutto. Eh, ce lo so che mi sto un attimo vantando ma hey, ogni tanto mi piace sentirmi una blogger talentuosa. E ricordate che il mio sogno nel cassetto è essere Carry Bradshaw, quindi ce devo crede almeno, no?
Oggi, finalmente, torno su questo blog per parlarvi di libri perché – sebbene qui tiri un vento che manco a Trieste – ieri è stata una fantasticherrima giornata e me ne auguro almeno altre 100 uguali a quella. E quando torna il buonumore, torna anche la voglia di stare in mezzo alle cose belle (cioè ai libri). 
Oggi voglio mostrarvi i 5 libri che voglio leggere il prima possibile. Ce li ho già tutti fisicamente, tranne uno, che sarà presto mio (e con presto intendo tra un'ora e mezza circa).

1. Lo schiavista di Paul Betty (The sellout).
Sì, è sulla bocca di tutti e voi sapete quanto io odi questa cosa, quanto io perda irrimediabilmente interesse per una cosa quando se ne parla in continuazione. Sono, infatti, ancora digiuna di tutto ciò che è uscito in libreria (o al cinema) e se ne è parlato a non finire: non ho ancora letto la Ferrante, non ho ancora letto Stieg Larsson, non ho ancora letto Stoner. E forse sono una delle poche a non aver ancora visto The Beach con Di Caprio. Con Lo schiavista, invece, il mio atteggiamento è differente (va' a sapè perché), forse è merito del booktrailer – che è un metodo di sponsorizzare i libri che ho sempre un po' snobbato –, forse è merito della copertina, o magari della trama.
È la storia di Bonbon, un nero della lower middle class che si presta a improbabili esperimenti sulla razza (e già qui il libro mi aveva conquistata); quando il padre viene ucciso da una sparatoria dalla polizia, si trova a dover fronteggiare le spese del funerale. Ma il girone della sfiga non è ancora terminato perché, come se tutto non fosse già allucinante, la cittadina nella quale è nato e vive, viene cancellata dalle carte geografiche. Insomma, questo Bonbon già mi sta simpatico alla quarta riga della trama. E lui, che pensa di fare? Ripristinare la schiavitù e la segregazione razziale nei ghetti. Che dire? Che ho proprio bisogno di una storia assurda e di un protagonista cinico. E provocatorio. E nero. E che fa parte di una minoranza.

2. No culpes al karma de lo que te pasa por gilipollas di Laura Norton.
Sì, è un chick lit e in spagnolo, per giunta. Scoperto per caso, grazie al trailer del film che uscirà nelle sale di tutta Spagna domani (qui se volete vederlo) è la storia di Sara, una ragazza che lavora in un negozio di piume. Sara, proprio come la Nereia di questi ultimi anni, è anche lei contornata dalla sfiga e da cose allucinanti che le succedono: gli affari non vanno bene, a lei succedono sempre cose cretine e fastidiose, i suoi genitori si trasferiscono nel suo appartamento (incubo!), la sua vita sentimentale è disastrosa – te capisco, amica, eccome se te capisco, qua coi casi umani abbiamo riempito anni e anni e anni della nostra vita – e la sorella... Be', la sorella comincia a frequentare il ragazzo di cui Sara era innamorata al liceo. Dici, altro? Be', sicuramente sì ed è quello che voglio scoprire quanto prima. Mi piace questo libro e mi dispiace che non sia stato tradotto in italiano perché sono sicura che parecchie di noi, in questo momento, abbiamo bisogno di una lettura così: divertente, leggera e, in un certo senso, rincuorante. Io sto uscendo per andarlo a comprare, così posso anche vedere il film il prima possibile. E voi? E voi se non parlate lo spagnolo, potete aspettare che ve lo traduca io (cosa super illegale eh, ma posso anche cimentarmi per qualche amica). E sennò: tutti a fare un corso base di spagnolo, forza!

3. It's kind of a funny story di Ned Vizzini.
In realtà questo libro esiste anche in italiano, si chiama Mi amazzo, per il resto tutto ok ed è fuori catalogo (co' 'sto titolo, non me stupisce che in Italia non se lo sia filato nessuno). Io, come la maggior parte dei libri in lingua che ho in casa, l'ho scoperto per caso su Goodreads (ti amo Goodreads, ti amo profondamente). 
È la storia di Craig, un ragazzo che soffre di alcuni problemi: per lui è difficile prendere voti alti a scuola, fare i compiti, comportarsi in modo normale con le ragazze, stare con gli altri, prendere decisioni, persino sorridere per lui è molto difficile. Un giorno, proprio quando decide di togliersi la vita, trova il coraggio di chiamare il Telefono Amico (si chiamerà così in Italia?) e farsi ricoverare. Lì, troverà medici, infermieri e altri pazienti che lo faranno tornare alla vita, lo faranno sentire di nuovo "normale". Sì, forse è un libro un po' triste, e di certo non ho bisogno di tristezza nella mia vita in questo momento. 
Però mi trasmette un non so che di positivo, un messaggio di gioia nascosta e speranza. E boh, secondo me è proprio un gran bel libro. Questo ce l'ho già, in ebook per giunta, e non devo quindi uscire di corsa per andarlo a comprare. Lo leggerò, vi farò sapere. La copertina originale è stupenderrima, ma io purtroppo ho la versione con la locandina del film, cosa che odio profondamente ma vabbè.

lunedì 7 novembre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 7/13 novembre


E anche oggi è lunedì (di già). Poi mi dite come fa il tempo a correre così, senza avvertire. Cioè, ieri sera stavo semplicemente pensando a quanto sarebbe bello essere un cane, almeno per un giorno – pensieri filosofici alti, come potete vedere – quando mi sono accorta che era domenica sera e io non solo ero stata tutto il giorno in giro, ma non avevo neanche preparato il post. Non sarebbe male se non fosse che oggi me devo dà sbrigà che devo fare dei giri burocratici e non solo. E invece siamo tutti qui, io con il mio tazzone di caffè davanti (santità alla caffeina subito!) e voi, invece, magari siete già al lavoro da quattro ore – il fancazzismo è la mia arma segreta, lo faccio così bene e con così tanto impegno che non capisco perché nessuno ne abbia ancora fatto una professione. Mah. I misteri dell'umanità, proprio.
Detto questo, qui sopra stanno succedendo delle cose, con molta molta molta calma, ma stanno succedendo delle cose. Ve ne accorgerete :muauauaua: risata malefica.
Ma basta cinciallegrare, vediamo un po' le uscite della settimana (poche eh, perché le case editrici si stanno preparando al Natale).

La copertina de La lettrice, vedete, non sarebbe neanche troppo male se non fosse che la modella, prima di prestarsi per la foto, s'è certamente calata un kg e mezzo di funghi allucinogeni. Tesò, che stai a guardà con quella faccia? Allora, o hai in mano una copia del kamasutra e stai lì a domandarti il perché tu abbia i tendini delle gambe corti (tranquilla, ti capisco, le mie gambe si stendono solo se sto sdraiata. Cioè, se ci provo a sollevare una gamba mentre sto in piedi, se ne sta lì tutta piegata che io boh, non capisco come sia possibile avere i muscoli e i tendini così atrofizzati a soli 31 anni), oppure sei super fatta di qualcosa, non ci sono altre spiegazioni.
E, vedete, non sarebbe davvero tanto male, se non fosse anche che al grafico gli è sfuggito il pennello per ridipingere lo sfondo e ha inglobato le maniche del giubbino di jeans. 
Amico grafico, c'hai combinato? Stavi a fà la copertina mentre parlavi al telefono? Non t'è sorto il dubbio, prima di consegnare il lavoro al grande capo, che c'era qualcosa che non andava? Hai mai visto un giubbino di jeans che cambia colore così senza che si sia irrimediabilmente rovinato in lavatrice? Suvvia, mancano proprio le basi eh (anche della moda, mica solo di Photoshop).
Il simbolo dell'infinito sopra e sotto nun se po' guardà (soprattutto sotto che, per farcelo entrare, lo abbiamo pure schiacciato), ma queste sono le regole base della decenza e me sa che il grafico in questione non le conosceva proprio. 
La scheda non ci dice se Sefia, dopo aver visto quelle immagini e valutato la sua prestanza fisica, abbia o meno deciso di iscriversi a un corso di pole dance o abbia anche solo pensato che forse il kamasutra non fa per lei, ma ci dice solo che il padre è morto, che vive con la zia Nin che poi viene rapita e che, nel suo mondo, leggere è un'attività proibita. Sefia, amore, ma non sarà che porti un attimo di sfiga? Passa in chiesa prima e fatti benedire, poi vediamo se non è il caso di cambiare libro e leggersi un bel trattato sul malocchio, altro che kamasutra. Ai muscoli atrofizzati ci pensiamo dopo, quando smetterai di uccidere o far rapire tutti quelli che ti circondano.

Quando vedo le copertine dei libri storici provo pena per l'autore, per il grafico e pure per chi se li legge questi libri.
È un sentimento incontrollabile, che mi pervade così, senza preavviso e tutto d'un tratto. Come adesso.
Guardo questa copertina e, a parte chiedermi il perché della sua esistenza, mi sento in pena persino per il poraccio che s'è prestato, vestito da cretino, a fà sta foto. Sai quanti scatti hanno dovuto fà prima che ce ne fosse uno brutto abbastanza da poter utilizzare? Roba che Umberto qui accanto, a fine giornata, è tornato a casa con un principio di artrite alla mandibola e con il braccio sinistro lussato.
Dell'altro braccio non abbiamo notizie, né fotografiche, né reali. Chissà, magari lo ha perso prestandosi per altri scatti (cosa molto probabile). 
Di queste copertine, comunque, continua a piacermi l'enorme quantità della roba che ci sta scritta sotto, mancava solo un'altra riga, che magari elencava la lista delle cose che devo comprare oggi al Lidl, e poi era completa. 
Ad ogni modo, la scheda non menziona la tempesta di sabbia in atto, né ci rassicura sul braccio destro di Umberto, no. Anzi, ci dice che siamo in Britannia (dove a quanto pare le piogge acide e le tempeste di sabbia sono all'ordine del giorno) e che mentre Catone è un figo e cerca di penetrare le colline, il nostro amico Umberto, altrimenti detto Macrone, è ferito ed è rimasto indietro nella corsa alla conquista del territorio. L'inverno sta arrivando e pure le tempeste di neve (siamo sicuri sia neve? A me me pare più che altro una raffica di vento nel Sahara ma io non so' imparentata con Giuliacci, quindi cazzo ne posso sapè? Niente. Manco parlo del meteo con gli anziani alla fermata dell'autobus, per cui so' proprio la persona meno indicata per dire qualunque cosa in merito). E niente, basta. Cioè, questa è la storia più o meno. Riuscirà il nostro Umberto a ritrovare il braccio perduto e a non farsi accecare dalla sabbia negli occhi? 

Lo scontro totale tra islam e cristianesimo che insanguinò il medioevo. Perché, ce n'è stato uno parziale che ha insanguinato, (però poco eh, giusto du' gocce) gli anni precedenti? Ma che vor dì totale? Le guerre ve risultano parziali per caso? O che ne so, che si trasformano in una partita a scopone scientifico?
– Scopa! Me tocca er Lazio! Non famo che me date la Basilicata che è troppo piccola e non ci posso piazzà due alberghi, ma solo le casette verdi e ho finito i pezzi da 100 euro.
– No eh, a me me tocca Tel Aviv ma a 'sto giro so' finito in carcere e non posso uscire se non faccio due 6.
– Hey, state nella mia casella de La Mecca, non fate i fighi che so' 50 euro cadauno. Poi, se passate pure dalla casella della Basilica di San Paolo so' che cazzi vostri, è pure Porta Santa e vale deppiù.

Ma che è? Gente, dopo anni di copywriting e clienti esigenti, poi leggo 'ste cose (scontro TOTALE) e mi ritrovo a inneggiare all'analfabetismo eh, ve lo dico. 
Sul resto non so che dire, ho esaurito le parole guardando la faccia del cavallo. La scheda sta qui, leggetevela voi e ditemi se scoprite di scontri parziali o a puntate ché io non ne conosco.


Per questa lunedì è tutto, vi auguro una marea di partitone a scopone scientifico e, mi raccomando,  se giocate a questa versione dello scopone, occhio alle caselle con le Porte Sante che valgono deppiù.
Abbraccioni e tempeste di sabbia dritte dritte negli occhi per tutti voi. Salutatemi il braccio di Umberto!

venerdì 4 novembre 2016

In my bookshelf #34


Vi avevo promesso che il blog sarebbe tornato piano piano alla normalità e il ritorno di In my bookshelf ne è la prova (più o meno, ma non sottilizziamo).
In questi mesi di assenza non è che abbia comprato poi chissà quanta roba, né letta poi più di tanta, ma fare un riassunto per mostrarvi cosa è successo in questo luuuungo periodo mi fa sentire una blogger seria (eddaje, no? Ogni tanto ci vuole).
La volontà di leggere ciò che ho in casa procede bene, e proprio per questo mi contengo con gli acquisti (e mi contengo veramente eh, mica tanto per dire).
Così, da agosto fino a ora ho acquistato davvero pochissimo (ma ho ricevuto qualcosa in regalo).
Certo, se il blocco del lettore mi abbandonasse del tutto sarebbe cosa buona e giusta cosicché – oltre a non acquistare – dimezzerei anche la mia lista di "to be read prima dell'apocalisse".
Però, insomma, da qualche parte bisogna pur iniziare per smaltire la roba di cui si è già in possesso e non acquistare nulla rappresenta un piccolo passo verso la normalità.
Vediamo adesso da agosto a ottobre cosa è successo nella mia libreria. Pronti? Pronti.

Partiamo dai libri nuovi che, per fortuna, sono solo due e sono entrambi stati acquistati a un prezzo più che accettabile (10 euro l'uno). Si tratta di due libri in lingua spagnola, non ho idea se questi libri esistano in italiano e poco importa perché si tratta di due libri scritti da autori spagnoli e che ho voluto acquistare in lingua perché credevo di non soffrire del blocco del lettore. E poi, poi niente, è andata a finire che di uno, e sto parlando di Dime quien soy di Julia Navarro, ho letto soltanto 57 pagine e poi mi sono arenata – non per colpa del libro, ovviamente – e dell'altro ho letto solo la quarta di copertina e si tratta di El mapa del tiempo di Félix J. Palma.
Dunque, mentre Dime quien soy è stato scelto con cura e attenzione in mezzo a un'altra valanga di libri e s'è aggiudicato il posto sul mio comodino – al momento solo per prendere polvere insieme al kindle – perché è scritto in maniera molto semplice e lineare, El mapa del tiempo è stato, invece, portato a casa perché la trama mi sembra una roba che wow! Leggendo la quarta di copertina, che è l'unica cosa che al momento ho letto di questo libro, mi sembrava un argomento interessante: Inghilterra, 1800 e viaggi nel tempo. Una roba che non potevo davvero lasciare sullo scaffale. Poi, ecco, magari è una schifezza di una noiosità colossale (e la bruttezza della copertina è davvero un punto a suo sfavore che mi fa pensare che la cagata sia dietro l'angolo), ma almeno mi serve per imparare parole nuove.

I libri usati, invece, comprati alla 65a Fira del llibre d'ocasió, antic i modern che si è tenuta a Passeig de Grácia, sono decisamente di più. Pochi, comunque, secondo i miei standard, ma comunque troppi dati i miei inesistenti tempi di lettura. Si tratta di un libro di Marta Rivera de la Cruz che si chiama La importancia de las cosas, una copia di Jane Eyre in spagnolo – che fa sempre bene –, Los cuadernos de Don Rigoberto di Mario Vargas Llosa e El alquimista impaciente di Lorenzo Silva, comprati più che altro perché mi sembravano scritti in maniera piuttosto semplice (a parte Vargas Llosa che, vabbè, lo conosco abbastanza e non mi sembra male affatto).
Ai libri usati si è aggiunto anche un dizionario monolingua, in spagnolo ovviamente, comprato praticamente nuovo che non ho ancora utilizzato se non per cercare una parola che mi è stata detta da un ragazzo – come un complimento – e che non ho trovato, quindi vabbè. Mi piace pensare che mi abbia detto che la mia pelle somiglia a una mandorla bianca, pure che non è vero. Ma tanto, insomma, anche chi se ne frega, dato che non è una parola che mi verrà mai più ripetuta, ergo posso vederci tutto quello che mi pare, no? xD

Una mia amica mi ha invece prestato El laberinto de la rosa di Titania Harde, avvertendomi che non è poi tutto questo granché (e si vede dalle recensioni di Amazon), ma che è molto utile per apprendere le costruzioni verbali più utilizzate e le particelle che accompagnano i verbi. Insomma, messa su questo piano, pure che fa schifo, ci importa il giusto dato che mi serve come "libro di studio".
Ho ricevuto in regalo da Maria (che non ha un blog vero, ma un blog alternativo), Di grammatica non si muore di Massimo Roscia (che lovvo appassionatamente), Un certo Lucas di Julio Cortazár e Autobiografia di una femminista distratta di Laura Lepetit.
Letture Sconclusionate mi ha invece regalato Lo schiavista di Paul Beatty e Come un fucile carico di Lyndall Gordon (già autrice di quella cosa meravigliosa che è la biografia di Charlotte).

lunedì 31 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 31 ottobre – 6 novembre


Buongiorno!
In questi giorni sono tipo in mezzo a una tempesta ormonale e mi succedono cose che non riesco a controllare e, soprattutto, mi passa il tempo come fossi a bordo di una specie di macchina del tempo super veloce. Oggi è lunedì, domani già venerdì. Non capisco come sia possibile ma va bene così (cioè, anche no, ma che posso fà? Il rallenty nella vita reale non esiste, ahimè).
Cerco un modo per evitare che i giorni mi sfuggano di mano, suggerimenti? Trucchi? Atteggiamenti che voi mettete in atto? Tra l'altro, con la scusa della macchina del tempo super veloce, me se sporcano subito i capelli e fà lo shampoo è una delle cose che io ho sempre odiato, soprattutto a causa della mia incapacità di asciugarli in modo decente: ergo ho sempre dei capelli terrificanti. Per cui, ecco, 'sta cosa tocca risolverla che se c'avessi dei capelli orrendi ma non lavati un giorno sì e uno no starei meglio emotivamente, almeno lo shock della capigliatura obbrobriosa ma appena lavata non sarebbe ogni 36 ore circa. Insomma, se c'avete dei modi per evità tutto questo fateme un fischio.
Ma adesso andiamo a vedere cosa l'editoria ha in serbo per noi questa settimana, ché dei miei capelli abbiamo già parlato abbastanza.

Premesso che il tipo di inquadrature che mi fanno sentire una formica nel mondo degli umani non me so' mai piaciute, permesso che il verde bile dopo una serata brava tra fiumi di alcol è il colore più brutto ever che abbia mai visto e premesso anche che la gente in pigiama nei parchi mi fa sempre domandare se ci sia centro di detenzione per serial killer nelle vicinanze... Ecco, premesso tutto ciò, mi sento di dire che questa copertina mi fa esperire stati di scomoda e maleodorante aerofagia acuta. 
Perché, dai, che so' 'sti contorni tagliati con l'accetta? La faccia di lei pare non avere un profilo vero, essù. 
E a noi ci sta bene tutto, veramente, ormai ci siamo abituati al peggio – e voi, forse, pure più di me – ma la totale assenza di contorni smuove sempre qualcosa di brutto e cattivo dentro di me. Sarà che una vita da blogger molto miope mi fa essere particolarmente sensibile all'assenza di contorni nella vita reale e, quindi, quando vedo che questi mancano anche nella vita non reale mi sento un po' morire, ma per favore, per favore gente, ribelliamoci a questo scempio. Miopi di tutto il mondo, uniamoci contro la mancanza di contorni anche nelle copertine!
E poi vorrei capire come fanno a piovere petali di papavero dal cielo. Le ipotesi possono essere due: lei strappa i papaveri e come una deficiente se li lancia addosso (quanti anni hai, ciccia? Cinque?) oppure è chiaramente una delle Piaghe d'Egitto che è sfuggita alla Bibbia. E se è così, ragazza, io me preoccuperei che come minimo quei petali so' acidi e, se ti cadono in faccia, diventi una lebbrosa in meno di un nanosecondo. Poi ti si comincia a sciogliere la faccia, si presentano bubboni purulenti, in un momento arrivano tizi incappucciati che te portano al lazzaretto più vicino a casa e muori in solitudine sperando che nessuno si ricordi di te come l'untrice maledetta. La scheda non getta luce sulla pioggia acida di papaveri, ma ci dice che L'anno dei fiori di papavero narra la storia di Nicole, cresciuta da una madre single che si è sempre rifiutata di parlarle del padre, che rimane incinta e il fidanzato, scoperta la lieta novella, la abbandona soprattutto perché scopre che il bambino ha una malformazione cardiaca. Ora, d'accordo, non sei rimasta con la faccia liquefatta dalla pioggia di papaveri però, tesò, un po' di sfiga te l'hanno portata. Lo vedi che è una delle nuove Piaghe d'Egitto? Io, senza sapè niente, t'avevo avvertita. Il tuo lui, comunque, è un simpaticone, non c'è che dire.

Una bella scala a chiocciola che ti fa vomitare l'anima dopo la terza curva (che poi, non so se avete notato, ma è infinita, non c'ha manco una piazzola di sosta... Cioè, sta tizia è un miracolo se non è morta dopo aver salito tutte quelle scale! Io sto al quarto piano senza ascensore e ogni volta che penso di dover tornare a casa, soprattutto con la spesa, mi viene da piangere)... Dicevamo, una bella (e comoda!) scala a chiocciola da salire in mezzo al muschio e alle piante. Me dà l'idea di un posto poco umido, dove non c'è alcuna possibilità di farsi venire l'allergia in primavera, no?
Che poi, un secondo, ma la nostra amica sta salendo o sta scendendo? Vuoi vedè che il nostro caro grafico ci voleva quasi che fare una citazione di quelle culturali e c'ha messo di mezzo Escher? Sono quasi commossa, soprattutto perché la tizia a 'sto punto, facendo la scala che non sale e non scende, sarà tipo sudatissima e non può manco togliersi il mantello che poi non sa 'ndo metterlo. 
Perché, io non so se v'è mai successo d'annà a un concerto in pieno inverno tipo al Palalottomatica, che fuori ci stanno meno diciotto gradi poi entri e ce ne stanno invece 180, con la condensa del sudore della gente che è morta lì dentro, cercando di raggiungere la prima fila. A me è successo, e ve giuro che il cappotto non sai 'ndo metterlo, dopo un po' te pesa come se stessi a saltà con un sacco di patate di 8 kg attaccato al braccio. E quindi io la tizia qui la capisco, che sale e scende col mantello, che non sa dove metterlo e che sta sudando copiosamente. Tesò, quando raggiungerai la meta fatte 'na doccia, te prego, e coprite che te prende un coccolone. La scheda, vi tranquillizzo, non ci dice niente sull'eventuale polmonite de 'sta povera disgrazia, ma ci dice solo che Rachelle combatte creature teribbili, che è al servizio del Regno, che c'ha un sacco di problemi, na vita dedicata al lavoro e poi non c'hai manco la pensione o no stipendio decente. Rachelle, te capisco amica, ma che vuoi farci? Ce semo passati tutti, pur'io che ho cominciato a lavorà con uno stipendio di 175 euro. So' con te, resisti e tieni duro. E mettiti la canottiera sotto, che poi te se scoprono i reni e non c'hai giorni de malattia col contratto a progetto, poi sennò te dicono che pòi tranquillamente lavorà da casa con la febbre a 40 e il bocchettone pe' l'ossigeno.


Per questo lunedì è tutto, vi auguro infinite piogge acide e fiatoni da scale infinite. Alla prossima settimana, abbraccioni!

mercoledì 26 ottobre 2016

5 is megl che one #2 – ovvero 5 film che parlano di me


In questa seconda puntata di 5 is megl che one avrei voluto parlare di libri, ma la lista di 5 libri che... (non vi dico che cosa, ovviamente) ha richiesto più tempo del previsto – eh, so' una tipa precisa io –, così ho optato per un'altra lista. Una lista, comunque, non meno importante di quella che avevo in mente e che vi mostrerò, magari, nella prossima puntata. O forse no? Un po' di mistero ci vuole sempre. 
Oggi voglio parlarvi dei 5 film che, in un modo o in un altro, parlano di me. Di me come persona, intendo. Ho sempre pensato che se qualcuno conoscesse un po' i film, i libri, i video musicali che mi rappresentano, conoscerebbe – in una certa misura – anche me. Probabilmente non è così, perché certamente tra mille milioni di persone, ci sono altri che reputano questi film belli (o apprezzabili). Io, invece, non dico che mi piacciono e basta. Nono, gente, sono me. Mi piacciono perché, in un certo senso, parlano di me.
A voi, comunque, l'ardua sentenza: da questa lista, si capisce mica che tipo di persona amabile, bellissima, generosa, fantasticherrima, sono? (Ovviamente mi complimento da sola ché qua, se stiamo ad aspettare qualcuno, moriamo di vecchiaia).

1. Il favoloso mondo di Amélie (Le Fabuleux Destin d'Amélie Poulain).
La prima volta che ho visto il film ne sono rimasta incantata: i colori, la musica, la straordinaria e delicata bellezza di Audrey Tautou, la storia.
Io, probabilmente, non sono bella neanche la metà di Audrey Tautou e non indosso neanche le meravigliose gonne che, invece, indossa Amélie – be', diciamo che la mia alternativa altezza non me lo permette –, eppure ho comunque molto di lei: i maglioncini merlettati, i capelli scuri e corti, la vita piena di sorrisi e pupazzetti, la spensierata ingenuità verso il mondo, la sensibilità verso qualunque forma d'amore, e quella che io chiamo "innata passione per le cose sceme". Nonostante abbia superato l'età di Amélie – ahimè, brutta la vecchiaia eh –, sono ancora alla ricerca di qualcuno che possa diventare quello che Nino diventa per lei. In realtà, però, non lo cerco veramente. Alle volte inciampo in qualcuno che penso possa esserlo, che credo possa avere la stessa mia passione per le cose sceme ma poi, dopo qualche tempo, mi accorgo che viviamo in due mondi diversi: lui troppo aggrappato alla realtà, io troppo intenta a guardare le nuvole e a scorgerci buffi animaletti. Ricordo di una volta in cui, dopo avermi vista giungere al lavoro con un maglione pieno di fiocchi, un mio collega mi disse: – "Sarebbe bello vivere nel mondo di Nereia per un giorno". Forse lo sarebbe davvero, o forse no. Certo è che la gente troppo attaccata alla realtà non potrà mai capirmi completamente.
Questo sono io a dirlo di me stessa, ovviamente, e voi lo sapete meglio di me, nessuno può giudicare sé stesso. Mi piace però pensare che qualcuno di mia conoscenza, guardando questo film, possa pensare a me.

2. One day.
Su One day, sia libro che film, ci sono pareri discordanti. Molta della gente che conosco – anche solo
Whatever happens tomorrow, we had today.
virtualmente – pensa che sia un libro orrendo e patetico. Cosa che, ovviamente, pensa anche del film. A me, sul serio, dispiace tanto per quelle persone. Mi dispiace soprattutto perché non riescono a guardare oltre, soffermandosi sulla superficie dei fatti. Se si sforzassero di pensare, se si sforzassero di ricordare, troverebbero di certo momenti apparentemente sciocchi, ma in verità stupendi, vissuti con una persona.
Mi dispiace anche perché trovo che sia una storia d'amore – e d'amicizia – molto bella e intensa. E se penso che qualcuno potrebbe non aver vissuto momenti belli neanche la metà di quelli vissuti da Emma e Dexter... be', mi rattristo per gli altri. Emma e Dexter possono essere reali anzi, lo sono.
Si rincorrono per anni e, quando finalmente si trovano, vivono dei momenti semplicemente bellissimi. A me è successo, di rincorrere qualcuno intendo, e mi è successo di essere la Emma della situazione. In verità io sono sempre Emma: intrappolata in una vita "reale" che, la maggior parte delle volte, risulta essere non solo non all'altezza delle aspettative, ma anche poco stimolante. Non lavoro (non ancora, almeno), in un brutto ristorante messicano e non ho un fidanzato idiota, ma mi è accaduto – più spesso del dovuto – di accontentarmi di ciò che la realtà poteva offrirmi, nascondendomi dietro un mondo parallelo del tutto immaginario, senza trovare la forza di uscire allo scoperto e sbocciare. Emma vive costantemente, quando non è con Dexter, una vita senza alti né bassi, ma che le offre la tranquillità tale che le permette di rifugiarsi nelle sue comfort zone. Eppure la vita, invece, dovrebbe essere sempre vissuta come fosse essa stessa una comfort zone.

lunedì 24 ottobre 2016

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 24/30 ottobre



Persone, gente, lettori!
Come ogni lunedì, siamo qui presenti per parlare di ciò che potete trovare in libreria. Ci tengo a segnalarvi questa roba così che, dovesse capitarvi di imbattervi in uno di cotali volumi, la vostra retina – già precedentemente preparata allo scempio – non ne rimarrebbe troppo provata. Certo, che vi rimanga illesa è praticamente impossibile, ma rovinata solo per metà. Ricordate, però: quando decidete – o siete costretti per qualsivoglia motivo – di passare vicino ad alcuni reparti delle librerie, sappiate che è bene sempre indossare gli occhiali da sole. Per inciso e per completezza di informazioni, gli occhiali da sole servono per:
a. Non far vedere ai passanti che correte il rischio di diventare ciechi e/o di perdere un occhio guardando la copertina di un Newton Compton poporno;
b. Riparare i vostri acuti occhietti dai colori sgargianti di suddette copertine;
c. Poter rivolgere uno sguardo indignato a chi questi libri li compra senza essere visti – punto molto importante.
E detto ciò, andiamo ad ammirare! Ah, prima che mi dimentichi: c'ho inserito un Amazon Crossing che sì, blabla, non lo trovate in libreria sì, blabla, Amazon bruttone, cattivone, fa fallire mio zio che vende ancora polli agli angoli delle strade, sì blabla tutto quello che ve pare ma era troppo bellissimo e non potevo ignorarlo.

La prima domanda è: ma lui c'ha una protuberanza al posto del corpo? Cioè, posto che la maglia a righe è di lei – ed è di lei –, quella cosa bianca dovrebbe essere la maglia di lui. È anche sotto la sua testa, ergo dovrebbe proprio essere il suo corpo. Ma che parte del suo corpo? Cos'ha, un braccio che gli parte dritto dritto dal collo? Mi auguro sia una sciarpa, che ne so, un accappatoio, ma guardate pure un pezzo de cartone – ao', ognuno si prepara all'inverno come meglio può – ma basta che non penso all'ipotesi di uno co' tre braccia di cui uno che gli esce dal collo perché, raga, manco Miss Peregrine e i suoi bambini speciali. Oh, c'ho dei riferimenti culturiali che fermate eh, fermate!
C'è da dire anche che mi sono accorta che lei è una lei solo perché la maglia segue le rotondità delle tette, che sennò data l'angolazione, il mento sfuggente e la mancanza di tutto, poteva pure essere un lui (e, a quel punto, la storia prendeva una piega più interessante, secondo me, ma so' opinioni).
L'effetto Crystal Ball ormai è così consolidato che Sperling e Kupfer non può più abbandonarlo quando la Todd pubblica un libro. C'hanno sicuramente provato, smarmellando così tanto il fondo della foto che alla fine, per non far notare la cagata che era, c'hanno dovuto piazzà proprio le bolle di Crystal Ball. Il titolo è bellissimo, i 40 font utilizzati pure, per non parlare del cognome scritto in grassetto ma il nome no. Perché? La scheda non getta luce su questo mistero, ma ci dice che Dakota e Landon – che non so se sono gli stessi degli altri 600 libri – arrivano a New York perché Dakota vuole studiare danza. Peccato che si iscrive alla scuola, due pas assemblé, due fouettés en tournant e lo manda a cagare accompagnando le parole con un elegante grand jeté. Eh, l'amore è così: o dura tanto, o non arriva all'intervallo. E niente, insomma, lui è solo ma per fortuna che c'è Tessa, la sua migliore amica, che lo consola e che non sa cosa sia un grand jeté per cui non corre il rischio di essere mandato a cagare due volte in mezza giornata.

Boh. Io proprio boh. Non so che dire perché fino a quando pensiamo che lo strabismo è figo, c'è poco da dire.
Lei già stava messa male che porella aveva la super mascella come Caio, ma pure lo strabismo? E poi, dico, trucchiamola in modo pesante, così chi non c'aveva fatto caso lo nota subito che c'ha un occhio a destra e l'altro a carissimo amico.
Mi so' letta la scheda e, stando pure a ciò che era successo nelle puntate precedenti, me so' fatta l'idea che la serie della mia amica Armentrout è qualcosa di così terrificante che mi piacerebbe quasi leggere. Riassumento, lui arriva sulla Terra ma non vuole umani come vicini. Purtroppo gli capita lei, che lo strega con lo sguardo, e lui decide di stalkerarla tra le piante. A quel punto lei non resiste al fascino dello schizofrenico e decide che devono stare insieme, ma il governo fa delle cose bruttissime agli alieni senza patria, tant'è che il fratello di Daemon è stato torturato, robbe con esperimenti e mamma mia aiuto, uniamoci contro queste cose brutte, chiamate i compagni alieni etc etc. Insomma, ora pare che il governo ce l'avrebbe pure con gli ibridi, e la vita della tizia strabica è pericolo. Così Daemon deve fare un sacco di cose per salvarla: prima di tutto trovare un oculista bravo che le consigli gli esercizi da fare, poi andare da Salmoiraghi e Viganò ché ha sentito che se compri un occhiale da sole, quello da vista è in omaggio, e poi cercare anche – come se la sua vita non fosse complicata abbastanza – di "tornare nell’oscurità per rivedere la luce e salvare due mondi da conseguenze disastrose". Che io non so mica che vordì 'sta frase, però faceva scena e lo scrittore di quarte di copertina sicuro non l'ha manco aperto per sbaglio 'sto libro – ma non diteglielo che s'offende.

Lo so, lo so: Gelida non è possibile trovarlo in libreria, ma questa ragazza dal collo più largo della Salerno-Reggio Calabria non potevopassare inosservata.
Ma che collo c'ha? È enorme, veramente troppo grande. Soprattutto a sinistra della foto, ma che è? Largo ma soprattutto così corto che manco le mucche, gente, manco le mucche.
Quella cosa in basso a sinistra, che a me sembrava il cinturino di un brutto orologio, è un aereo. Sì, è un aereo, avete letto bene. Questo significa che se già con le dimensioni del collo avevamo mandato le proporzioni a farsi benedire (no, seriamente, neanche Poseidone in Pollon ha quel collo), con l'aereo abbiamo proprio toccato il fondo.
La scritta "Bone-Secrets" (con tanto di punto finale) sulla fronte della nostra amica non ho capito se è un tatuaggio oppure no. O forse il punto è un neo? 
L'unica cosa positiva di tutto questo lavoro è il nome del traduttore in copertina. 
Comunque, la scheda dice che Gelida è un romantic suspence (da domani esiste il romantic architect, il romantic carrefour, il romantic benzinaio e pure il romantic acqua e sapone) che ci racconta la storia di Brynn, un'infermiera forense che indaga su un incidente aereo non so da che parte in montagna e allora, forza gente! Sbrigamose prima che ariva lo yeti, e niente vanno là lei e un tale che si chiama Alex ma so' tutti morti perché oh, stamo in montagna, mica a Ostia. E insomma la storia si fa seria perché l'unico superstite che è sparito è il famoso criminale che si trovava a bordo di quell'aereo. Così, tra un'indagata e l'altra, Alex si rende conto che Brynn è proprio bona e sticazzi se so' colleghi. Cosa succederà? Nella loro intimità useranno i lacci emostatici e le sedie a rotelle per giocare a medico e paziente? Oppure Alex fingerà di essere un poliziotto ma sotto il vestito indosserà mutande gommose? Scoprivatelo su Amazon, costa solo 10 euro!


Per oggi è tutto, scusate il ritardo ma è stata una mattinata piena. Vi auguro una settimana piena di gente che vi manda a quel paese con un plié. Al prossimo lunedì!

mercoledì 19 ottobre 2016

Questione di incipit #14


Buongiorno, buongiorno!
Grandi novità (oddio, grandi... me sento sempre un po' l'arrotino quando faccio di queste cose) da queste parti. Dunque, da questo momento in poi, Questione di incipit si alternerà con 5 is megl che one fino a quando non capirò bene in che modo organizzare la programmazione del blog. Ci sto lavorando, anche se saltuariamente, e prevedo alcuni cambiamenti. Non radicali eh, sia chiaro, ma vorrei trovare un'armonia che al momento manca.
Sarebbe il caso forse di mettere il blog in stand-by, dato il momento confuso, ma non me la sento. Non me la sento perché spero che insistendo, riuscirò a ritrovare quel quid che in questo periodo non c'è. Lo so, lo so, sono cocciuta. Ma sono del Cancro, e dice l'oroscopo che sono testarda. Ed è vero. Me fisso sulle cose fino a quando non ci riesco.
Quindi, detto ciò, Questione di incipit ci sarà un mercoledì sì e uno no e presenterà solo l'incipit del libro che sto leggendo. O che sto tentando di leggere (ma questo è un altro discorso).
Oggi vi presento Una spola di filo blu di Anne Tyler, una delle mie autrici contemporanee preferite in assoluto.
Inoltre, vi avverto che dal mese prossimo ripartirà In my bookshelf e anche una nuova rubrica (:buauauaua: risata malefica).

Come sempre, perché Anne Tyler è una certezza, anche il suo ultimo libro racconta la storia di una famiglia e delle sue intricate relazioni interpersonali.
Protagonista de Una spola di filo blu è la famiglia Whitshank e le quattro generazioni che la compongono. 
E come in tutte le famiglie, ci sono segreti, mezze verità e questioni in sospeso. E Anne, la mia cara Anne, è così brava e così spontanea nel raccontare queste storie, che sembra sempre che le famiglie protagoniste dei suoi libri siano, in parte, anche le tue famiglie. Tutte. Non so come fa, dico sul serio, ma ci riesce sempre. Devo ancora trovare un suo libro che non mi piaccia. Anne Tyler, con i suoi racconti, riesce sempre a trasportarti – per tutta la durata del romanzo – nella dimensione in cui si trovano i suoi personaggi. E ovviamente, anche in questo caso, mi sento come fossi nel salone dei Whitshank, ad ascoltare la storia del padre di Red, giunto a Baltimora negli anni '20, e vedo scorrere le sue vicende – certo non sempre felici – e, non lo so. Temo che per capire il perché io ami tanto Anne Tyler, bisognerebbe leggere almeno un suo libro. Perché nelle sue storie sembra che non accada mai niente di incisivo e invece sì, gente, invece sì. Nelle storie di Anne Tyler accadono le emozioni.


PRIMA PARTE
Non posso andarmene finché non muore il cane

1

Una sera di luglio del 1994, Red e Abby Whitshank ricevettero una telefonata dal figlio Denny. Era tardi, si stavano preparando per andare a letto. Abby, in sottoveste davanti al comò, sfilava le forcine dalla sua disordinata crocchia color sabbia; Red, un uomo scuro, magro, in pantaloni del pigiama a righe e maglietta bianca, si era appena seduto sul bordo del letto per sfilarsi i calzini. E così, quando il telefono squillò sul suo comodino, fu lui a rispondere. «Casa Whitshank» disse.
E poi: «Oh, sei tu, ciao».
Abby girò le spalle allo specchio con le mani ancora nei capelli.
«Cosa» disse Red senza punto di domanda.
E poi: «Eh? Oh, Denny, ma che cavolo...»
Abby lasciò cadere le braccia.
«Pronto?» disse Red. «Aspetta. Pronto? Pronto?»
Rimase in silenzio per un momento e poi riagganciò.
“Cosa c’è?» gli chiese Abby.
«Dice che è gay.»
«Cosa?»
«Ha detto che doveva dirmi una cosa: che è gay.»
«E tu gli hai sbattuto il telefono in faccia?»