martedì 31 gennaio 2017

Elementare, cowboy, Steve Hockensmith – recensione

Vi ho già anticipato, da qualche parte che, insieme alle blogger del Book Bloggers Blabbering, è partito un nuovo progetto, il BBB Indie Café. Cos'è? Un'iniziativa durante la quale ogni mese sarà dedicato a una Casa Editrice in particolare. Gennaio è il mese dedicato a CasaSirio, una casa editrice che ho conosciuto qualche tempo fa e di cui mi sono innamorata (i capelli di Martino e la sua innata simpatia, be', che dire, mi hanno stregata).

Adocchiato al Salone Internazionale del Libro di Torino dello scorso anno, ma acquistato successivamente a causa della cospicua mancanza di fondi e per colpa della valigia che pesava già un quintale e mezzo, ho avuto il piacere – e la tranquillità – di leggere Elementare, cowboy solo adesso. I motivi sono tanti e i più disparati ma sono contenta, per una volta, di essere affetta da quel fenomeno che in Giappone prende il nome di Tsundoku (l'accumulo sconsiderato di libri da leggere). Perché? Perché così è più probabile che legga il libro giusto al momento giusto, avendolo già acquistato.
Con Elementare, cowboy è successo proprio così: divorato sul treno che tutti i giorni mi portava in quel freddo paesetto che è Sant Cugat – nella provincia di Barcellona –, mi ha fatto non solo viaggiare nel tempo, ma anche riscaldare dentro. Sì, perché la copertina arancione, i toni caldi e scherzosi, i capelli rosso fuoco dei fratelli Amlingmeyer e la polvere del West non possono far altro che accompagnare le tue giornate rendendole migliori. Soprattutto se, come me, si è costretti a prendere un treno che puzza di circo (true story) per dirigersi in un posto freddo e triste per andare a lavorare.


È il 1893 e siamo in America, nel polveroso Montana, in compagnia dei due fratelli Gustav e Otto Amlingmeyer. Gustav, fratello maggiore, è più conosciuto come Old Red mentre Otto, fratello minore, è soprannominato Big Red per via della sua stazza. Old Red e Big Red, dopo aver perso la propria famiglia a causa di una serie di orribili disgrazie, sono costretti a cercare un impiego che gli permetta di mantenersi. Gustav, analfabeta ma gran lavoratore, e Otto, capace di leggere, scrivere e fare i conti, si ritrovano così a candidarsi per un lavoro presso il Cantlemere Ranche, conosciuto da tutti come Dollaro Barrato, un ranch che non possiede una reputazione esattamente positiva.

Il Montana può rivelarsi un luogo difficile in cui vivere, soprattutto grazie alla sua vicinanza geografica con il Canada che non gli garantisce sempre un clima steppico. Ce lo confermano le parole Big Red, nell'incipit del romanzo, che vivere nel West non è ciò che si può considerare una tranquilla e spensierata passeggiata.

«Nel West ci sono due cose dalle quali proprio non puoi scappare: la polvere e la morte. È come se danzassero insieme nel vento e non puoi mai sapere quando una folata leggera ti soffierà in faccia l'una o l'altra».

Proprio a causa di un inverno molto duro, quello del '86-'87, che aveva provocato una terribile moria di vacche, diversi "Baroni della carne" della zona erano stati costretti a vendere i propri ranch. Il Dollaro Barrato, invece, aveva resistito alla moria e, rimasto operativo, aveva deciso di effettuare un cambiamento. I proprietari, dopo aver licenziato il vecchio amministratore, ne assunsero uno nuovo che decise di liberarsi del vecchio ranchero e di mettere il Cantlemere Ranche nelle mani dei non esattamente proprio fratelli McPherson.
Al Dollaro Barrato, però, c'è qualcosa che non torna, che non funziona come dovrebbe. Innanzi tutto il numero di impiegati: un ranch di quelle dimensioni ha bisogno di una considerevole forza lavoro per andare avanti e i fratelli Amlingmeyer si accorgeranno subito che l'esiguo numero di cowboy all'interno della proprietà non è neanche lontanamente sufficiente per portare a termine la grande mole di lavoro. Inoltre, sembra strano che, senza una vera selezione, i McPheron decidano di assumere un gruppo di cowboy incontrati in un bar.

lunedì 30 gennaio 2017

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 30 gennaio – 5 febbraio


Buongiorno gente!
Oggi mi sento carica, ma così carica che, guardate, carica così non lo sono mai stata. No, non è vero. Non sono carica per niente. Accuso una certa presenza vicino alla tonsilla sinistra, forse mi sto ammalando e se è così non posso sopportarlo: già stata male con l'influenza quest'inverno eh, un'altra non ce la voglio, proprio no.
Intanto la mia vita prosegue come sempre, sto cercando di fare il possibile per organizzare le mie giornate ma con scarsi risultati. Inutile dire che non sono organizzata come una colonia di formiche, anzi. Basta in realtà mettere piede in camera mia per venire travolti da un'ondata di disordine e cose. E dire che ho tre cose in croce qui a Barcellona, se ce ne avessi di più verrei accolta da una valanga ogni volta che varco la porta, altro che ondata. Già me la immagino la valanga di vestiti che normalmente sposto da una parte all'altra, quelli che sono troppo puliti per finire in lavatrice ma troppo sporchi per essere messi di nuovo nell'armadio e così passano le loro giornate a fare avanti e indietro tra la sedia e il letto per poi finire, inesorabilmente, in lavatrice, circa un paio di giorni dopo. Eh lo so, la vita dei vestiti né sporchi né puliti è proprio dura.
Ma basta parlare di me che ogni volta sto qui e monopolizzo la scena, parliamo di ciò che possiamo trovare in libreria questa settimana!

Ecco, questa tipa che vediamo qui è sicuro la sorella gemella. Il balcone è lo stesso, ma per l'occasione abbiamo cambiato parte della Contea di Bilbo Baggins: lì c'era la distesa di prati, qui invece c'abbiamo un fiume con una piccola barchetta che fa tanto Cina imperiale.
Mi auguro che 'sta ragazza sia seduta su uno sgabello che non si vede perché, altrimenti, gente io ve lo dico, stare con una gamba alzata e piegata e, quindi, in equilibrio su un piede, solo per fissare il proprio sguardo su un pacchetto regalo... Cioè, sarà sicuramente una posizione di yoga 2.0 per raggiungere chissà quale status di tranquillità mentale, ma la fatica? La fatica? Ne vogliamo parlare?
Sarà una cosa tipica dell'Indocina francese del 1952 (l'ambientazione del libro), insieme al cielo rosa, giallo, lilla e azzurro e le colline verde evidenziatore Stabilo. Noi non c'eravamo e non possiamo dire il contrario. Possiamo dire, però, che l'altezza di quella recinzione non è sicura: se ti sbilanci mentre pratichi lo yoga 2.0 guardando un pacchetto regalo è la tua morte. L'acqua ai bordi me pare pure un tantino verde melma, io un bagno non me ce lo farei (così, pe' dì). Nicole (così si chiama, ci dice la scheda), dai retta a me, cambia sport.
La storia, comunque, è che Nicole c'ha dei problemi irrisolti con la sorella Sylvie, c'è il commercio della seta, lei però lavora in un vecchio negozio polveroso, non le piace il suo mestiere, però è innamorata di un ricco americano Mark ma poi conosce Trân, un ribelle vietnamita, e allora che dici, me tengo l'americano o faccio yoga 2.0 versione poporno con Trân? So' scelte impegnative Nicole, quando vuoi parlà ci trovi qui eh.

6 cose impossibili dici eh? Sicuri siano solo sei? Perché la settima è guardare questa copertina senza svenire, santo cielo. Ma cosa è successo in redazione? Erano tutti strafatti di speed? Non c'è 'na cosa che funziona in questo ammasso di cose appiccicate male con Paint.
L'ottava cosa impossibile è quella specie de tiara che a una certa sparisce sulla destra (?? ma in che senso? Perché?), per non parlare della coccinella di legno e plastica appiccicata lì, senza senso (oltre a essere terribile, veramente terribile).
Un occhio lilla e l'altro rosa (inquietante eh), i brillantini che non si sa da dove escono fuori, la mancanza di senso del tutto. Ma lo vedete il fiore rosso sulla destra? Lo vedete? Io è meglio se non lo guardo, è così brutto che rischio un infarto.
Questa volta però non è colpa di Newton Compton perché questo capolavoro è opera della Harry N. Abrams e noi sappiamo perché Newton Compton ha deciso di mantenerla invariata. Perché? Ma perché rispettava tutti gli standard del mal fatto che normalmente piacciono tanto, ovvio. Che domande!
Comunque, pare che Alyssa – dice la scheda – sia riuscita a entrare nella tana del coniglio e che ormai abbia il controllo della propria vita (ma manco tanto, se scegli tu stessa de conciatte così, tesò, era meglio se te controllava qualcun altro) e che in questa serie di racconti farà un viaggio nel suo passato, nel presente, nel futuro e se j'avanza tempo se ferma pure alla Rinascente a rifasse il guardaroba.

Se mi lasci ti licenzio? Come scusa? Ma che è, una minaccia? Questo è chiaramente un libro che tratta il tema, orribile ma purtroppo molto vero, del mobbing, giusto? 
E lei viene presa in giro dai colleghi perché indossa delle ciavatte che neanche la Inblu nella collezione dedicata alle nonne eh (e comunque non ci stanno con quei pantaloni, fattene una ragione, tesò).
Purtroppo no, a quanto pare Se mi lasci ti licenzio narra la storia di Adam che a 22 anni ha già fatto carriera. Cioè, normalmente ti laurei e fai uno stage gratis – o quasi – in un posto di merda facendo fotocopie, invece Adam manco aveva finito di consegnà la tesi in segreteria che già era a capo di un'azienda. Va bene, tutto molto credibile. Comunque, l'azienda è proprietaria di un famoso sito d'incontri ma Adam non sogna di far accoppiare la gente (per quello c'è Tinder, hai ragione), sogna piuttosto di diventare produttore cinematografico e per farlo ha bisogno di un grosso finanziamento (ma n'era già ricco?). A interessarsi al progetto, ci dice la scheda, è un ricco magnate che però decide di mandare la figlia, Alison, a lavorare nell'azienda di Adam (ma perché? Che c'entra con il diventare produttore cinematografico? Quindi se Adam c'avesse avuto un panificio ma sognava di diventare pornoattore, qualcuno mandava le attrici a fà le cassiere al panificio? Mah). Così Alison indossa quelle orribili scarpe e va da Adam, ma l'attrazione è così forte che insomma alla fine saranno amici, amanti, colleghi etc etc. La cosa importante però è: ma quella moquette è macchiata? Oddio che schifo. 



Per questa puntata è tutto, vi auguro una settimana all'insegna dello yoga 2.0 e un buono regalo da spendere sul sito di Inblu ma solo per comprare scarpe di merda! Al prossimo lunedì. 

mercoledì 25 gennaio 2017

Questione di incipit #17


Oggi voglio mostrarvi le prime pagine di un libro che, quando è uscito, non vedevo l'ora di acquistare. Un po' perché la casa editrice, CasaSirio, pubblica della roba che reputo davvero interessante, un po' perché mi piaceva un sacco la copertina e un po' perché – anzi, soprattutto perché – la trama mi sembrava qualcosa che mi chiamava distintamente. Nel senso che proprio sentivo il libro che diceva "Nereeeeeia, Nereeeeia, compraaaaami, compraaaami!". E infatti che è successo? Che l'ho comprato e me lo sono portato a Barcellona, insieme ad altri pochissimi eletti.
Grazie al Book Blogger Blabbering, che continua le sue gesta con l'iniziativa del l'Indie BBB Cafè, una sorta di Cafè Letterario in cui cercheremo di dare spazio all'editoria indipendente italiana, quasi ogni mese vi parlerò – in un modo o in un altro – di un libro di una casa editrice a me cara.
Il mese di gennaio è dedicato proprio a CasaSirio e, se volete conoscerla un po' meglio, vi lascio in fondo al post i link agli altri blogger che ne hanno parlato.
Intanto, bando alle ciance, vi mostro un po' le prime pagine di questo libro che ho quasi terminato e che mi piace moltissimo.

È il 1893 e siamo in Montana. I protagonisti di questa avventura western sono due fratelli in cerca di fortuna, Old e Big Red Amlingmeyer.
Old Red è silenzioso, intelligente e fanatico di Sherlock Holmes. Big Red, invece, ha una passione per l'alcool e le donne e, sebbene sia il più piccolo dei due, è comunque il più grosso. Giunti al ranch "Dollaro Barrato" per qualche mese di lavoro, dopo qualche giorno di duro lavoro, si imbattono nel cadavere dell’amministratore. Big Red prega il fratello, cercando di convincerlo a non ficcare il naso nella vicenda ma, quando anche uno dei loro compagni di lavoro viene ritrovato con una pallottola in testa, Old Red è sempre più convinto: deve risolvere il caso e, per farlo, sarà proprio il metodo deduttivo di Sherlock Holmes ad aiutarlo. 
Insomma: cowboy e omicidi da risolvere. Un mix che non poteva passare inosservato davanti ai miei miopi occhietti. 
E poi la copertina, la copertina! La state guardando? Guardatela meglio se non la vedete bene. Mi piace da matti. Per maggiori dettagli sul libro (e farvi un'idea sugli altri titoli in catalogo), potete leggere la scheda di Elementare, cowboy qui.

Nel West ci sono due cose dalle quali proprio non puoi scappare: la polvere e la morte. È come se danzassero insieme nel vento e non puoi mai sapere quando una folata leggera ti soffierà in faccia l'una o l'altra. Per questo, anche se sono ancora giovane, ho già messo gli occhi su ogni tipo di morte che vi può venire in mente. Ho visto uomini annegati, morti di freddo, fame o veleno, colpiti da proiettili o da pugnali, uomini impiccati, calpestati da buoi, trascinati da cavalli e morsi da serpenti, per non parlare poi del vasto assortimento di malattie, con le quali potrei riempire questo libro e un altro ancora. Quindi è un gran complimento se dico che i resti che trovammo il giorno dopo la terribile tempesta erano i più spaventosi che avessi mai visto. Non solo alcune centinaia di vacche dovevano aver ballato un valzer sopra a quel cadavere, ma i lupi della prateria si erano evidentemente fatti uno spuntino con il poco che non era rimasto attaccato agli zoccoli. I rimasugli si erano mescolati al fango e sembravano strisce di carne cruda in una ciotola di chili texano.   
– Io inizio a mettere insieme i pezzi – disse mio fratello smontando da cavallo. – Tu torna indietro e recupera un paio di badili.

lunedì 23 gennaio 2017

Nereia vs Barcelona – Capítulo 1. L'approdo.


Dopo tanto rimuginare, parte la rubrica che, fino all'ultimo minuto, non ero sicura di voler scrivere. Questo blog nasce tanti anni fa, con uno scopo ben preciso: parlare di libri. Belli, brutti, da leggere o letti. Con il passare del tempo mi sono accorta, però, che parlare di libri come facevano tutti gli altri mi stava un po' stretto. Sì le recensioni, sì la lista desideri, sì le anteprime, ma cosa mi rendeva differente dagli altri? Niente. Questo blog era semplicemente una copia di tutti gli altri, con molti meno lettori. Ho cercato, piano piano, di dargli un senso e una forma e ho così creato alcune rubriche che lo rendessero solo mio. Ultimamente, poi, mi sono accorta che anche solo parlare di libri era qualcosa che mi andava stretto. Sono cambiata io, in questo ultimo anno, e di conseguenza è cambiata la mia vita. Su valido suggerimento di qualcuno, ho deciso che è giunta l'ora che cambi anche il blog.
Oggi parte quindi Nereia vs Barcelona, di cui vi ho dato un assaggio nel post dedicato al 2016.

Era il 5 agosto del 2016 quando arrivai qui. Atterrai all'aeroporto El Prat con la mia valigia a pois pesante come un macigno e tanta voglia di ricominciare.
Presi il taxi dallo spiazzale dell'aeroporto, diretta a Verdaguer – la zona in cui abito ancora adesso.
Quando scesi dal taxi, vidi subito Lucilla, tutta sorridente davanti al portone in legno del palazzo liberty dove avrei alloggiato – allora credevo solo inizialmente. Ero felice. 
Tutto era nuovo ed entusiasmante: cacchio, Nere, sei in Spagna, la patria della gente sorridente, la patria della rilassatezza mentale e fisica, la patria con la lingua che più ti piace al mondo.
Ci misi qualche giorno a capire e quindi ad accettare che no, Nereia, non stai in Spagna. Sei in Catalogna. 
Perché, vedete, l'idea che si ha di Barcellona dall'esterno è distorta. Barcellona non è in Spagna, gente, Barcellona è in Catalogna e c'è una gran bella differenza. Vivere a Barcellona dieci giorni d'estate non è vivere a Barcellona tutti i giorni, credetemi. Qui non è sempre festa, qui non si è sempre allegri, qui non è semplice fare amicizia, qui la sangria è terribile, qui la gente lavora come in ogni parte del mondo, qui il lunedì è per tutti lunedì, qui non sorridono tutti e, soprattutto, qui la paella non è paella.

mercoledì 18 gennaio 2017

5 is megl che one #5 – ovvero 5 serie tv che meritano di essere viste almeno una volta nella vita


E come vi anticipavo altrove e in tutti i modi possibili, qui sopra abbiamo smesso di parlare sempre e solo di libri. Io mi sono evoluta e, con me, s'è evoluto pure questo spazio. Mi piace pensare di saper parlare anche d'altro, non solo di cose strettamente legate ai libri. Magari non ne sono davvero in grado, ma questa è un'altra storia.
Oggi, proprio per allontanarci dai libri, voglio parlare di quell'altra cosa che mi appassiona a pari merito (certo, lasciando da parte il colore rosa, i fiocchetti, i peluche, ET, e tutte le cose fiorellose che mi piacciono tanto) e, cioè, le serie tv.
Lo so, le serie tv sono ormai inflazionate: tutti le guardano, tutti ne parlano, tutti fanno più o meno parte di una fandom. Posso dire di essere fan delle serie tv dagli inizi, quando erano i tempi di George Clooney in E.R. Medici in prima linea, quando CSI non aveva ancora settecento spin off, quando la gente in Law & Order indossava ancora le giacche con le spalline, quando Ally McBeal emozionava con le panoramiche su Boston.
Oggi voglio parlarvi delle cinque serie tv che, a mio parere, meritano di essere viste almeno una volta nella vita. Ci saranno serie vecchie e serie nuove, tutte con un elemento comune: quando sono finite, hanno lasciato dentro di me un ricordo bellissimo e, al contempo, un vuoto incolmabile.

1. Friends.
Allora, prima di fare un discorso serio è necessaria una precisazione. Friends non è una serie tv, Friends è LA serie tv. E mi dispiace per quanti hanno visto solo qualche puntata e poi non l'hanno apprezzata e/o compresa, ma forse mi viene anche da dire un po' "ma chi se ne frega, meglio così, è solo per gente di un certo livello".
Non so dire quante volte l'ho vista, forse 3 o 4, e forse la mia passione per questa serie è addirittura inquietante. Ricordo scene, particolari e canzoni a memoria, molte delle situazioni reali mi fanno venire in mente situazioni accadute in Friends (e la cosa grave è che ci penso e rido, da sola, come i pazzi).
Il motivo per cui mi piace così tanto e per cui la reputo LA serie tv per eccellenza (nell'ambito delle serie comedy, ovviamente) è che riesce a essere spensierata e, allo stesso tempo, molto profonda. Quante volte ho pianto a causa di Ross e Rachel? Quanto ho shippato la loro coppia già dall'inizio della prima puntata? E lui, vestito da marinaio, che va a prenderla al Central Perk, o lui che dopo una lite furiosa, sta dietro la porta beccandosi la pioggia a guardarla, aspettando che lei gli apra? E Monica, con la sua mania per il controllo, Joey con il suo "how you doin'?" rivolto a qualunque essere femminile respiri, e gli orrendi vestiti anni '90... Cacchio, quanto mi manca. Certo, molte cose sono surreali e portate all'esasperazione, ma molte altre sono invece affrontate in maniera toccante; basti pensare a Monica, a come reagisce quando scopre che il ragazzo che lei reputava interessante pensa a lei come a una grassona, o a quando Chandler decide di affrontare il padre, con il quale ha un rapporto ambiguo e del quale si vergogna, poiché vive la sua scelta di cambiare sesso come un abbandono. È una serie del 1994, quando la parola "transessuale" e l'ipotesi di una coppia di lesbiche scuoteva ancora gli animi, più di oggi.
Friends è dentro di me, così tanto che io e mia sorella, ancora oggi, utilizziamo i pugnetti per mandarci a quel paese.

2. Black Mirror.
Ho un rapporto ambiguo con Black Mirror. Perché? Perché la reputo una serie fantastica, molto ben fatta, che è un piacere guardare ma che mi mette addosso un'ansia terribile.
So perfettamente che l'intento di Black Mirror è proprio quello di farci riflettere su quanto la tecnologia (e i social network) influenzino le nostre vite. So perfettamente che è tutto portato all'estremo, che mai succederà che qualcuno decida della propria vita semplicemente pedalando una bicicletta davanti a uno schermo (prima stagione), ma non sono tanto certa che in un futuro prossimo non troppo lontano, la vita di ognuno di noi non dipenderà dal gradimento che si ha sui social network (prima puntata della terza stagione). Se penso a quanto la gente si lasci influenzare dai like a una foto su Instagram, a tutte quelle persone – anche di mia conoscenza – che prima di mangiare qualunque cosa la condividono su Facebook, come se una parmigiana fosse qualcosa di cui rendere partecipe il mondo, se penso a tutte quelle persone – anche qui, molte di mia conoscenza – che vivono la loro vita in funzione del bastone per i selfie... Be', Black Mirror mi spaventa. Mi spaventa perché è dannatamente realistico. È realistico (e alle volte tristemente attuale) il modo in cui le persone, nella serie tv, trattino gli altri come fossero oggetti, senza minimamente pensare all'ipotesi che anche gli altri abbiano dei sentimenti. È spaventosa, appunto, e per questo dannatamente fantastica.
Non c'è una puntata della serie che io abbia guardato senza piangere, dico davvero. Mi distrugge emotivamente e mi fa paura. Ma santo cielo, è uno dei prodotti migliori e ben fatti degli ultimi anni.

lunedì 16 gennaio 2017

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 16/22 gennaio


Buongiorno gente!
Comincio subito con l'inginocchiarmi sui ceci per chiedervi perdono. Venerdì avrei dovuto pubblicare un post, ma mi sono ritrovata a correggere la tesi di un'amica (la cui consegna era prevista venerdì stesso) e niente, non ho fatto in tempo.
Tra l'altro i miei orari non sono proprio comodi, sto cercando disperatamente di non perdermi i pezzi per la strada e non è facile. È vero, lavoro il pomeriggio, ma ci metto un'ora per arrivare e un'ora per ritornare, ciò significa che mi tocca pranzare alle 12,15 circa (cosa che mi fa terribilmente sentire in ospedale). Insomma, per farla breve, la mia giornata è così suddivisa: ore 8,30 circa sveglia, caffè, lava i piatti, doccia, rendi la camera presentabile, controlla la posta, oddio le 11.30? Cucina!, mangia, ODDDIOO ME PARTE IL TRENO E ARRIVO TARDI!, poi lavoro, poi corsa al treno, sono le 20, passa velocemente al supermercato, cena, svieni. Due volte a settimana vado al corso di catalano dalle 20 alle 22 e devo anche correre perché altrimenti arriverei in ritardo. Per cui, io ce provo a stare dietro al blog (e ho anche pensato a come fare), ma alcune volte mi è davvero difficile. Però, se tutto va bene, riuscirò a breve a dare forma a tutto, ve lo prometto. Ho ideato un metodo, lo metto in pratica durante questa settimana.
Ma basta, basta con queste introduzioni lunghe millenni, vediamo cosa ci aspetta in libreria!

Da un'idea di Fabio Fazio, da un film di Bruno Vespa, da un'intervista ai Re Magi, da una manifestazione in favore de laggente che cammina sull'acqua, da un romanzo su un romanzo su un romanzo, da un film su un romanzo su un romanzo su un romanzo, ecco la storia di Lucy, che si china sulle pozzanghere per leggerne il fondo.
Oh, d'altronde Sibilla Cooman legge le foglie di tè in Harry Potter, non vedo perché Lucy non possa leggere i fondi delle pozzanghere della fermata metro Valle Aurelia.
Non è che solo legge il fondo, capite? Si inginocchia sull'acqua e, da brava parente stretta di Gasparre, Melchiorre e Baldassarre quale è, non solo sta sospesa sull'acqua, ma manco se bagna! Questa è arte, signori miei, ma che ne volete sapè voi. Chissà che ce vede, poi, nel fango. Funesti nemici? Futuri prossimi e trapassati remoti? Chi lo sa.
Tra l'altro, Lucy è proprio fortunata perché conosce un mago che la fa finire a letto con un attore super bello e super famoso e poi li unisce con un filo rosso indistruttibile (la leggenda del filo rosso è cinese, per più info andate qui, anche se l'autrice l'ha un po' cambiata). Ora, io il mago più mago che ho incontrato in vita mia è stato uno che voleva leggermi le carte nel cortile della mia facoltà e, quando gli ho detto che ma anche no perché avevo lezione, mi ha urlato in faccia "tanto t'esce la luna nera!". Inutile dire che questo breve incontro non mi ha fatta finire nel letto di Luca Argentero, anzi all'epoca ero pure infatuata di un cesso a pedali che, tra parentesi, non è manco diventato famoso. La scheda non ce lo conferma, ma sono quasi certa che le cose belle succedano solo a quelli che leggono le pozzanghere.

Ahhh, c'avevamo proprio bisogno de mette una tutta storta, di spalle, in copertina. Il braccio sinistro è chiaramente in rigor mortis, con un'angolatura che fa spavento pure ai medici legali abituati ai più efferati omicidi della storia. Poi me dite pure perché una tizia, in rigor mortis per metà corpo, dovrebbe andà in giro – in camicia da notte– pe' fratte.
Le foglie in stile Garzanti c'hanno pure un poco rotto, basta ragazzi, basta! Non ce la faccio più a vedè alberi e foglie in copertina. Poi quel ramo sulla sinistra, mezzo storto come il braccio della nostra amica proprio nun se po' vedè.
La scheda non ci dice nulla in merito al perché una dovrebbe andà in giro in camicia da notte, ma ci dice qualcosa sul perché ha mezzo corpo in rigor mortis.
Conni, Albert e Jim sono tre tizi inseparabili che fanno tutto insieme, vivono, mangiano, dormono, vanno in palestra, in sauna, a lezione sempre insieme, tipo in simbiosi (mamma che ansia) e la loro vita ruota attorno all'anima del gruppo, Kristina Kim che a una certa comincia a dare segni di cedimento (ma cedimento de che? Si sta decomponendo viva? Vabbè). Insomma, un giorno sto cedimento è così cedimento che la trovano morta tra le fratte. Spetta a Spencer O'Malley fare luce sull'omicidio e la prima domanda che si fa è "ma come, sempre cazzo e culo con quei tre mentecatti e nessuno di loro ne denuncia la scomparsa?". Un romanzo degno di Chi l'ha visto?, che la HarperCollins definisce claustrofobico e inquietante. Te credo inquietante, questi andavano dovunque insieme, manco si poteva fà una puzzetta in pace ché tutti venivano informati! Che ansia, regà.


Per questo lunedì è tutto, vi auguro una settimana di puzzette in santa pace! Al prossimo lunedì. 

mercoledì 11 gennaio 2017

Questione di incipit #16



Buongiorno miei prodi!
Ebbene sì, mi sto impegnando moltissimo per cercare di far tornare questo spazio all'antico vigore – vabbè, mo' vigore non ci allarghiamo eh, però suonava un sacco bene.
Neanche il tempo di abituarmi a lavorare la mattina che sono subito passata – again! – a lavorare il pomeriggio. Certo, per andare nel nuovo posto di lavoro prendo il treno, ciò significa che leggo durante il viaggio di circa 40 minuti, ma significa anche che ritorno a casa completamente stravolta e mi abbiocco con la faccia sul kindle. Eh, mai stata l'anima della notte io. Probabilmente sono nata vecchia. Il treno, comunque, mi ha permesso di ritrovare la voglia di leggere e l'emozione di potermi estraniare dal mondo. La mia forma fisica ne risente, ovviamente, i 10 km al giorno che facevo a piedi un po' mi mancano, ma mi auguro di trovare un lavoro dentro Barcellona in tempi relativamente brevi, così potrò tornare a camminare.
Ho iniziato a leggere American Gods, libro di Neil Gaiman non certo scritto l'altro ieri, ma che ho sempre voluto leggere  (tant'è che stava a casa mia da tempi immemori). L'ho iniziato adesso, complice anche il fatto che quest'anno partirà la serie tv tratta dal libro con quel gran figo di Ricky Whittle e niente, insomma, dovevo leggerlo per forza.
Quindi, va bene ridere e scherzare, ma andiamo a vedere l'incipit di American Gods, pubblicato da Mondadori nella traduzione di Katia Bagnoli.

Lo so, lo so, Mondadori ha rifatto la copertina ma a noi ci piace più quella vecchia – che poi è l'edizione in mio possesso – e quindi mostriamo questa.
Di Gaiman ho già letto altri libri, tra cui I ragazzi di Anansi che mi era piaciuto un sacco, e sono una sua fan non dico sfegatata ma quasi.
L'ipotesi della trasposizione televisiva di qualunque cosa nerd mi emoziona moltissimo, ma la trasposizione di Gaiman? Wow, praticamente non sto più nella pelle.
Uscito dopo tre anni di carcere, Shadow si imbatte in uno strano individuo che si fa chiamare Wednsday e che gli offre di lavorare per lui. A cosa e come non ci è subito chiaro e non è chiaro neanche a Shadow che, per una serie di motivi che non sto qui a dirvi ché sennò vi riempio di spoiler, accetta.
Ci metterà un bel po' per capire chi è davvero Wedsney e io neanche ve lo voglio dire, perché credo che sia un super spoiler che, tra le altre cose, è riportato pure sulla quarta di copertina – non leggetevela, vi prego! Vi posso dire, invece, che tra personaggi bizzarri e divinità antiche – approdate in America – vi sarà un battaglia tra divinità con lo scopo di conquistare l'anima dell'America. Qui il trailer della serie che cioè ommmiodddio! E sarete d'accordo con me che questa copertina è meglio di quella nuova, soprattutto dopo la visione del trailer. 

I confini del nostro paese, signore? Ebbene, signore, a nord confiniamo con l'aurora boreale, a est con il sole nascente, a sud con la processione degli equinozi e a ovest con il Giorno del Giudizio.   
The American Joe Miller's Jest Book

Era in prigione da tre anni, Shadow. E siccome era abbastanza grande e grosso e aveva sufficientemente l'aria di uno da cui è me­glio stare alla larga, il suo problema era più che altro come am­mazzare il tempo. Perciò faceva ginnastica per tenersi in forma, imparava i giochi di prestigio con le monete e pensava un sacco a sua moglie e a quanto la amava.
L'aspetto più positivo del fatto di essere in prigione, secondo lui - forse l'unico aspetto positivo - era una certa sensazione di sollie­vo. Sollievo all'idea di aver toccato il fondo. Non si doveva più preoccupare di essere preso, perché era già stato preso. Non aveva più paura di ciò che avrebbe potuto riservargli il futuro, perché il passato vi aveva già provveduto.
Non era importante, se si era davvero colpevoli del reato per cui ti avevano messo dentro. Gli uomini che aveva incontrato in quei tre anni non si davano pace: c'era sempre un particolare che le autorità avevano frainteso, pensavano, qualcosa che secondo lo­ro avevi fatto mentre tu non l'avevi fatto per niente, oppure non esattamente nel modo in cui dicevano. La sola cosa importante era che ti avevano beccato.
Se n'era accorto durante i primi giorni, quando tutto gli risulta­va nuovo, dal gergo al cibo, infimo. Sotto l'infelicità e l'orrore estremo della sua nuova condizione provava un senso di sollievo.

lunedì 9 gennaio 2017

Photoshop non ti conosco, obbrobrio non ti temo, Paint ti amo 9/15 gennaio


Bene, le feste sono del tutto finite, il 2017 è appena iniziato (e non parte bene eh, le cose assurde continuano a investirmi come se non ci fosse un domani, ma va bene lo stesso), il blog può tornare alla sua naturale programmazione. Spero solo di riuscire a star dietro a tutto. Con un po' di impegno e costanza – e un po' di auto-rimproveri – posso farcela. Giusto? Giusto. O meglio, mi piace pensare che sia così.
Pubblicherò sul blog più o meno tre volte a settimana, con picchi di quattro perché ci piace stare sul pezzo e perché, soprattutto, ci piace che questo spazio ritorni all'iniziale vigore (pare la quarta di copertina di un libro demmerda, ma vabbè). Comunque, insomma, tutto questo per dire che mi impegnerò – da oggi – a essere più presente nell'internet. Siete avvisati. Se vi sto sulle scatole è il momento buono per bloccarmi. Fuggite, sciocchi! (cit dovuta).
Andiamo invece a vedere cosa ci riserva la simpatica editoria italica, sebbene io è il caso che mi occupi dell'editoria ispanica ogni tanto, mo' che sto qua. Non è ancora giunto il momento, non mi sento del tutto pronta (le copertine so' davvero terribili, credetemi). Pronti per le uscite di questa settimana? Via!

Basta, porca paletta, basta! Questa donna è il mio nuovo incubo. Se, fino all'anno scorso, ero convinta che la cosa che mi spaventava più nella vita erano i ragni, oggi non sono poi così certa. Nereia, non sei aracnofobica, sei annatoddfobica, accetta la triste realtà.
E basta con la gente smarmellata a pene di segugio, basta! Il tale smarmellatissimo, senza occhi, con il mento sfuggente e con la testa galleggiante nel Crystal Ball: una prova di destrezza grafica che neanche il grafico meno bravo al mondo – impegnandosi – ci sarebbe riuscito, davvero.
La tizia c'ha pure l'orecchio mezzo umano e mezzo rosa, ma come se fa? Ragà, non è difficile stabilire la circonferenza dello strumento pennello su Photoshop, so' le basi, le basi! È proprio la prima domanda che te fa Photoshop "stabilire grandezza del pennello". Niente, non gliela possono fà.
Arancione e fucsia, comunque, fa schifo da tutti i punti di vista, pure dal punto di vista del fashion designer.
Dici, la copertina farà così schifo e pietà da far riacquistare la vista ai ciechi, ma almeno la trama sarà decente, no? No. La scheda dice che Landon vorrebbe continuare a essere il bravo ragazzo di sempre, impacciato e timido come sempre... Aspè, un bravo ragazzo è per forza impacciato e timido? Non può essere simpatico, intelligente e fare l'attore, per dire? No. Ok, va bene. 
Quindi, vorrebbe continuare a essere bravo e sfigato, ma ha un'erezione ogni volta che incontra lo sguardo (mo' se chiama sguardo) di Dakota e Nora e quindi niente, si spoglia della sua timidezza (e pure de qualcos'altro) e per un po' sta con un piede in due scarpe. Poi decide che forse è il caso di scegliere. Peccato che Dakota un giorno gli comunica che lo ama alla follia e poi sparisce, e Nora fa lo stesso. Landon, io me farei du domande, fossi in te. Una nuova puntata di Amore criminale misto a Chi l'ha visto? per la nostra autrice preferita. Impossibile perderselo!


Dall'autrice di Scommessa indecente, dal regista di Ti prego, basta co' 'ste cacate, dal grafico di C'era una volta Paint, dal correttore bozze de La settimana enigmistica del 1989, Ho scelto di amarti arriva in libreria con una copertina che supera le leggi della fisica e fa pure una pernacchia a Isaac Newton. 
Sorvolando sul senso di nausea che mi devasta al solo pensiero che nel mio bicchiere ci siano oggetti differenti da ghiaccio, olive, menta, zucchero e/o altri tipi di cibi consoni (frutta, gelato etc) e che trattengo a stento un conato di vomito alla vista di un dado e di un batuffolo di cotone esploso – perché è un batuffolo di cotone sporco, vero? – nel bicchiere che sto per avvicinare alle labbra... Davvero a questo bicchiere manca un pezzo? Cioè, o è rotto – e l'ipotesi anche di pezzi di vetro in questo cocktail mi sta per uccidere lentamente – oppure il grafico, smarmellando qui e lì, ha cancellato un pezzo di bicchiere. E se è rotto, perché il liquido resta lì dov'è? Scoprivatelo! Scoperte della fisica nel reparto grafico di Newton Compton!
La scheda ci dice che Griffin Verdi non può proprio mancare a questo evento mondano dove si beve il cocktail di vodka, cotone e dadi perché è un evento troppo importante: si tratta del matrimonio del secolo. Peccato che l'assistente di Griffin, che avrebbe dovuto accompagnarlo, c'ha la stessa resistenza fisica di un moscerino, per cui si ammala e tocca trovà un sostituto (??) – ma uno va ai matrimoni con l'assistente? Ma non c'hai n'amica, na segretaria, na sorella? 
Così, la scelta ricade – probabilmente dopo un'ardua ricerca su Infojobs – su una tizia che si chiama Maylee che però non sa nulla dell'alta società e sicuro un po' si schifa a bere cotone e vodka. Ma non preoccupatevi, uno sguardo ammaliante al momento giusto, una scollatura perfetta, uno spacco molto profondo e chi se ne frega dell'alta società. Prevedo una cosa tipo "la foresta dei tanga volanti".



Per questo lunedì, purtroppo, è tutto. Vi auguro una settimana piena di batuffoli di cotone nel vostro bicchiere! Al prossimo lunedì, folks!